Il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, lo ha detto chiaramente: non possiamo più permetterci di sprecare il suolo e consumarne ancora grandi quantità, sottraendo superfici all’agricoltura, per realizzare nuove infrastrutture viarie o poli industriali e artigianali, spesso di dubbia utilità.

L’invito, rivolto soprattutto agli amministratori locali, ma anche ad imprenditori ed operatori della filiera delle costruzioni, è netto: bisogna puntare ed investire sulla rigenerazione urbana e territoriale, secondo un approccio integrato ed interscalare, che restituisca vitalità ed inclusività alle città.

Agire nella rigenerazione urbana, dunque, non significa – come pur sta avvenendo impropriamente in alcuni casi – andare a sigillare le aree interstiziali presenti nel tessuto consolidato che, anzi, andrebbero lasciate libere per favorire il regolare deflusso delle acque meteoriche.

Credere e scommettere nella rigenerazione urbana significa voler innestare sul territorio semi di innovazione sociale e di partecipazione transgenerazionale i cui frutti possano incidere sul nuovo metabolismo urbano: prima che un insieme di progetti, la rigenerazione urbana è un processo progressivo di co-creazione dal basso che potrebbe produrre scelte decisionali diverse da quelle attese in origine e che dovrebbero spingere alla riqualificazione architettonica ed energetica, oltre che alla rifunzionalizzazione per una più adeguata valorizzazione, dell’immenso patrimonio edilizio esistente nel nostro Paese.

Tali trasformazioni, poi, risulterebbero ancora più accattivanti ed intriganti, e iniziano ad esserci una pluralità di esperienze che confermano la bontà della direzione intrapresa, se realizzate con materiali naturali e riciclabili. Nell’esigenza non solo di applicare il paradigma dell’economia circolare alla città e alle pratiche urbanistiche, ma di provare a saldare armonicamente i principi dell’architettura, della cultura e della natura.

Alcune tra le più importanti operazioni di rigenerazione urbana sostenibile, da un punto di vista meramente applicativo, oggi prevedono l’uso del legno – con la giusta essenza individuata anche in ragione del contesto e, spesso, anche dell’effetto cromatico desiderato – in aggiunta al quale si considerano la canapa, il sughero, la lana di pecora. La crescita dei materiali naturali, esito di una sempre più profonda e diffusa consapevolezza che le risorse ambientali siano limitate e che occorra difendere la biosfera non avvelenandola più con i prodotti e gli scarti dell’economia fossile, è dovuta anche alla volontà di sempre più utenti di vivere in case o di agire in strutture salubri, dal riconoscibile benessere indoor per le certificate condizioni termo-igrometriche.

Una delle esperienze più innovative, in tal senso, si è avuta a Bisceglie, in provincia di Bari. In un’area contaminata dall’amianto e a ridosso della stazione ferroviaria, dopo le opportune operazioni di bonifica e di demolizione degli organismi edilizi fatiscenti, sono nate le Case di Luce.

Si chiama così l’edificio, progettato dagli architetti di Pedone Studio che – premiato nel 2016, durante la Cop 22 di Marrakech, con il Green Building Construction Award – si propone di diventare un modello replicabile ovunque, soprattutto nel clima mediterraneo (nel quale è peculiare il fabbisogno di un raffrescamento estivo adeguato), per il sistema tecnologico impiegato.

Tale green building, infatti, opportunamente ideato nel rispetto dei più rigorosi criteri dell’architettura bioclimatica, oltre alla scelta del legno, ha il suo punto di forza nel biomattone Natural Beton, certificato Leed: ossia in un mattone realizzato con canapa e calce che consente la notevole traspirabilità delle pareti e concorre all’elevato benessere indoor degli ambienti domestici. L’impiego di materiali naturali, unito ai migliori dispositivi per assicurare una alta e performante efficienza energetica, ha ridotto al minimo l’uso degli impianti, tra i quali riconosciamo quelli per la produzione di energia rinnovabile da fotovoltaico e di acqua calda sanitaria e la ventilazione meccanica controllata per il ricircolo dell’aria, nel rispetto della normativa vigente.

Le città occupano solo il 2% della superficie globale, ma per il loro sostentamento impiegano i tre quarti delle risorse disponibili, con un bilancio socio-ambientale che potrebbe peggiorare entro il 2050, quando oltre il 70% della popolazione mondiale vivrà negli spazi antropizzati per definizione. È fondamentale, quindi, agire già da oggi per mitigare gli effetti e gli impatti di tutte quelle attività umane o processi industriali ad alto consumo energetico – come l’edilizia o l’architettura – e ad alto rischio climatico che incidono sulla qualità della vita.

Occorre considerare, dunque, nella fase di transizione ecologica che stiamo attraversando, l’urgenza, da un lato, di convertire i processi e le tecnologie, orientandoli verso uno sviluppo realmente sostenibile; dall’altro, di ricorrere a materiali naturali e riciclabili, quando non già riciclati, adottati in ottemperanza alle nuove prescrizioni comunitarie sull’economia circolare.

In questo scenario assolutamente fluido e di metamorfosi strutturali nel quale l’uomo si riscopre coinvolto in una relazione armonica con la natura, il rifugio principe per ciascuno di noi, la casa, anche per le continue sperimentazioni tecnologiche e diffuse pratiche ecologiche, viene radicalmente ripensata e ridefinita.

Non solo da luogo permanente di accoglienza che si fa temporaneo, da spazio ampio e quasi monofunzionale che si riduce nei metri quadri per modificate esigenze d’uso ed economiche senza perderne in intimità; ma anche per la possibilità crescente di impiegare per la loro costruzione materiali naturali ecocompatibili che ne elevino la qualità, la vivibilità, la durabilità.

Oltre al legno, infatti, che continua ad essere sulla cresta dell’onda e che punta a confermarsi come “materiale del secolo” per le sue performanti peculiarità, stanno conoscendo una rapida affermazione e diffusione sia la canapa, sia il cartone. E non soltanto come materiali isolanti, ma proprio da costruzione. Da potersi impiegare da soli o in combinazione, in modo particolare, con il legno o anche con l’acciaio (nel caso del cartone).

Il cartone, tra i cui primi utilizzatori troviamo l’architetto giapponese e Premio PritzKer 2014 Shigeru Ban, non è solo leggero, flessibile, naturale, riciclabile ed economico – e basterebbe questo per prenderlo seriamente in considerazione – ma, opportunamente lavorato con appositi macchinati e mediante collanti naturali, nella versione pressato o ondulato, garantisce una buona resistenza statica e una discreta resilienza ignifuga. Il nostro Paese, ad oggi, può presentare un paio di esperienze virtuose che iniziano a farsi conoscere e apprezzare anche oltre confine.

La prima, ispirata dall’entusiasmo e dalla tenacia di quattro giovani professionisti, nasce a Catania e per merito della startup siciliana Archicart che, dopo alcune iniziative pilota sperimentali, ha brevettato un proprio sistema costruttivo per realizzare case ad alta industrializzazione low cost in cartone facilmente assemblabili in cantiere. La giovane azienda, nell’idea di sfruttare e valorizzare le potenzialità del materiale, realizza allestimenti per fiere e padiglioni per esposizioni, attraverso le quali si propone di sensibilizzare la filiera delle costruzioni a scoprire le opportunità offerte dall’uso sostenibile del cartone in edilizia.

Sull’esempio di Shigeru Ban, per il quale spesso sostenibilità e solidarietà sono le due facce della stessa medaglia (si pensi alla nuova Concert Hall inaugurata nel 2011 a L’Aquila e realizzata integrando il cartone all’acciaio), lo scorso anno a Milano, su iniziativa dell’artista e designer Maurizio Orrico, sono state realizzate alcuni piccoli rifugi temporanei, impermeabili ed ignifughi, per i senza fissa dimora della stazione centrale. Queste soluzioni abitative, che pesano circa 10 kg e che sono quasi istantaneamente fruibili una volta collocate sul sedime individuato, rappresentano un ulteriore esempio di come potrebbero essere affrontate nelle nostre città le più gravi condizioni di marginalità, ma anche come potrebbero essere sanate, nella prima fase emergenziale postevento, le profonde ferite provocate dai disastri naturali come i terremoti o le alluvioni.

Sulla scena internazionale, infine, va citata l’esperienza esemplare dello studio d’architettura olandese Fiction Factory che, progettando nei dettami della bioarchitettura, ha ideato “una mini-casa di cartone che dura 100 anni”. Il prototipo, battezzato Wikkelhouse che significa letteralmente “casa incartata”, prevede l’uso sapiente del cartone ondulato, con moduli – rivestiti internamente in legno e ricoperti esternamente da una pellicola traspirante e impermeabile – assemblabili in cantiere in due giorni e concepiti per essere, a seconda delle esigenze dell’utente, assolutamente personalizzati.

Domenica 3 Giugno, a diversi anni di distanza dalla chiusura della precedente struttura, è stato finalmente inaugurato a Cefalù il nuovo resort Club Med, primo cinque tridenti d’Europa.
Il taglio del nastro si è svolto con una festa in grande stile, in un tripudio di eventi e di ospiti ed alla presenza delle massime autorità locali e dei vertici di Club Med, il cui Presidente Henri Giscard D’Estaing (insignito, nel corso dell’evento, della cittadinanza onoraria della città di Cefalù) si è detto “orgoglioso di avere partecipato alla rinascita di un mito”.
L’attività della struttura è immediatamente partita con grande spinta e con ottime risposte da parte del mercato, al punto che le prenotazioni per la stagione estiva appena iniziata hanno già superato l’80% della capacità ricettiva disponibile e su Instagram l’hashtag #clubmedcefalu conta già oltre 1.200 post.

70 anni di Club Med nel mondo

Club Med è il gruppo leader nel mondo per il settore delle vacanze all – inclusive, fondato nel 1950 con l’obiettivo di dare forma e corpo ai sogni di felicità di persone di qualunque tipo: coppie, famiglie, single, ecc. Non a caso lo slogan dell’epoca recitava: “Lo scopo della vita è essere felici; il momento per essere felici è adesso; il posto per esserlo è qui”.
Da allora, in tutti i luoghi più belli del mondo hanno cominciato a nascere i villaggi Club Med (oggi se ne contano più di 70), che sono diventati essi stessi simbolo della Vacanza per eccellenza.
La storia d’amore che lega il gruppo all’Italia inizia già nel 1951, con l’apertura del villaggio di Baratti in Toscana e prosegue (rinnovandosi), oggi, con l’inaugurazione della rinnovata struttura di Cefalù, nuovo fiore all’occhiello e prodotto di punta dell’offerta Club Med nel mondo.

L’operazione Cefalù ha richiesto investimenti per quasi 90 milioni di euro che hanno riguardato da un lato la ristrutturazione ed il restyling della struttura preesistente chiusa dal 2005 e, dall’altro, la messa in scena della nuova testa di serie del gruppo per la categoria Exclusive Collection, che rappresenta la nuova concezione del lusso secondo Club Med. Infatti, in quasi 70 anni di storia, il gruppo Club Med ha sempre saputo adattarsi ed evolversi in funzione delle aspettative e delle richieste di una clientela sempre più esigente dal punto di vista sia della qualità dei luoghi e dei comfort, sia della ricerca di esperienze spirituali ed emozionali: questa filosofia, o meglio, questa costante aspirazione alla massimizzazione del lusso, è stata applicata e sviluppata nel corso degli anni nei villaggi di tutto il mondo ed è stata portata all’apice proprio nella struttura di Cefalù, dove gli ospiti possono ritrovare il proprio equilibrio interiore e la propria intimità attraverso esperienze memorabili e percorsi interiori di felicità e benessere.

Club Med Cefalù

Dal punto di vista dell’offerta turistica, la ristrutturazione e la riapertura del villaggio Club Med Cefalù, rispondono, quindi, proprio all’obiettivo di definire e dare vita ai nuovi standard della Club Med Exclusive Collection, la gamma dei villaggi extra – lusso.
Questo processo di miglioramento ed aggiornamento dell’offerta avviene innanzitutto a partire da quegli aspetti che, da sempre, costituiscono parte integrante e nota distintiva di tutti i villaggi Club Med, come la possibilità di scegliere tra un’ampia gamma di attività sportive e di escursioni nel territorio e nello stile di vita locali e la particolare cura ed attenzione riservata a tutti gli ospiti.

Nel resort di Cefalù a questi aspetti più tradizionali, si aggiungono anche quelli legati al paesaggio: il villaggio sorge infatti in un’area di circa 14 ettari posta al di sopra del promontorio di Santa Lucia da cui si gode una spettacolare vista sulla baia di Cefalù, sul Mediterraneo e sulla città stessa. Il rapporto con il paesaggio naturale circostante è molto profondo ed è ulterioremente sottolineato ed enfatizzato dalle scelte progettuali e materiche attuate dallo Studio King Roselli, che ha seguito tutti i passi della ristrutturazione. L’architettura della struttura integra il design semplice e minimalista delle nuove strutture con le esigenze di tutela e di recupero degli edifici storici preesistenti di epoca settecentesca ed unisce alla ricerca di un rapporto dialettico con il contesto naturale, la massima cura ed attenzione per tutti gli ambienti interni che si caratterizzano per grande raffinatezza ed eleganza.
Anche l’azienda Albertani Corporates s.p.a. ha preso parte a questa grandiosa operazione di ristrutturazione e restyling, realizzando i 128 bungalows in legno negli stabilimenti del villaggio (sull’argomento vedi anche questo post).

Ulteriori fiori all’occhiello del Club Med Cefalù sono la spettacolare spa, che con i suoi oltre 700 mq è in grado di regalare ai suoi ospiti emozioni uniche ed irripetibili, ed il ristorante Palazzo Gourmet Lounge, gestito dallo chef stellato Andrea Berton, che propone esperienze culinarie basate sulla valorizzazione dei prodotti siciliani a km 0.

Per maggiori info, visitate la pagine la pagina Club Med dedicata che trovate a questo link oppure lasciatevi incantare dalla magia di queste immagini.

Il tema della prefabbricazione edilizia in legno e della prefabbricazione edilizia in generale costituisce un argomento nei cui confronti si percepisce ancora un diffuso scetticismo, nonostante la grande e rapida crescita che il settore sta registrando negli ultimi anni.
Sono infatti ancora molti quelli che continuano ad interpretare e ad associare il termine “prefabbricato” all’idea di un edificio di bassa qualità, realizzato in serie e dal carattere temporaneo o provvisorio.
Si tratta ovviamente di concezioni false e distorte, legate al passato ed ormai superate in virtù degli indiscussi e indiscutibili vantaggi e benefici che l’impiego delle tecniche di prefabbricazione porta con sé. Sia che si parli di prefabbricazione in legno, sia che si tratti di altri materiali.

Cosa vuol dire “prefabbricato”?

L’impiego di tecniche costruttive prefabbricate, costituisce, ad oggi, un fattore in grado di assicurare maggiore qualità, sicurezza e prestazioni al progetto da realizzare e di consentire, nello stesso tempo, il risparmio di risorse economiche. Per questo tali tecnologie vengono utilizzate sempre di più, sia per residenze private, sia, e soprattutto, nell’ambito della realizzazione di edifici di carattere pubblico o collettivo, come scuole, strutture sportive, centri polifunzionali, ecc.
E forse è proprio per questo, appunto perché spesso si tratta di edifici destinati ad ospitare i nostri figli, che il dibattito sulla loro qualità si accende ed anima con frequenza. Infatti il pensiero, errato, di molti è quello che associa il tema della prefabbricazione all’idea del container, un oggetto standard per dimensioni e caratteristiche, finito e pronto all’uso e, pertanto, immediatamente utilizzabile anche per sistemazioni di emergenza o temporanee.
In realtà, la prefabbricazione edilizia di qualità di cui tanto si parla oggi ed alla quale anche noi dedichiamo spazio all’interno di questo blog (sull’argomento vedi anche il post Case prefabbricate in legno: massime prestazioni al design che scegli tu) non è quella che produce le casette o i moduli che arrivano in cantiere belli e pronti e che devono quindi solo essere posizionati. La prefabbricazione edilizia a cui facciamo riferimento (e della quale la stessa Albertani Corporates s.p.a. è una delle maggiori fautrici in Italia) è quella che riguarda gli elementi costruttivi ed i componenti destinati a diventare parte del progetto finale: travi e pilastri, montanti e correnti, pareti, solai, falde. Quindi, a seconda del sistema costruttivo previsto dal progetto (il sistema a telaio o l’X – Lam sono quelli più diffusi e performanti nell’ambito della prefabbricazione in legno), all’interno dello stabilimento si provvede alla realizzazione degli elementi costruttivi necessari che, successivamente, vengono trasferiti in cantiere dove hanno luogo le fasi di posa in opera ed assemblaggio.

Prefabbricazione “su misura”

Inoltre, scegliere un sistema costruttivo che prevede l’impiego della prefabbricazione non significa limitare o vincolare la libertà progettuale ed architettonica in funzione della standardizzazione degli elementi da utilizzare. Al contrario: la prefabbricazione prevede e non può prescindere da una progettazione personalizzata, accurata e dettagliata di tutti i singoli componenti: ciascuno di questi deve infatti essere pensato, dimensionato e realizzato in funzione delle caratteristiche e delle prestazioni richieste ed attese da tutto l’intero edificio.
Lo stesso avviene anche per quanto riguarda i nodi e le connessioni: anche questi devono essere tutti progettati con attenzione e precisione, allo scopo di garantire le massime prestazioni dell’edificio finito e di eliminare ogni possibilità di presenza di difetti esecutivi.
La scelta di sistemi costruttivi di tipo prefabbricato porta quindi con sé un duplice vantaggio: da un lato la progettazione dettagliata di tutti gli elementi, strutture e nodi dell’edificio, permette di ridurre al minimo la quantità, la durata ed il costo delle lavorazioni che la manodopera deve effettuare direttamente in cantiere e, di conseguenza, di eliminare il rischio di esecuzioni difettose o non a regola d’arte. Dall’altro consente la massimizzazione delle prestazioni dell’edificio finito, soprattutto dal punto di vista della resistenza sismica e dell’isolamento termo – acustico: infatti la definizione a priori di tutti i dettagli costruttivi (stratigrafie, nodi, partizioni, aperture, ecc.) assicura la precisa previsione del comportamento della struttura e dell’involucro in funzione di tutte le variabili in gioco e permette, quindi, di predisporre le migliori soluzioni per rispondere alle esigenze del caso.

Qualità elevata e lunga durata

Tutti questi aspetti danno quindi vita ad edifici di qualità molto elevata sia dal punto di vista della progettazione che dell’esecuzione. Questo garantisce, di conseguenza, negli edifici realizzati con tecniche di prefabbricazione, il raggiungimento del massimo livello delle prestazioni, proprio in virtù di una progettazione che, sin dalle primissime fasi, li analizza e li sviluppa a 360° come organismi unici.
Scegliere sistemi e tecniche costruttive ti tipo prefabbricato, non significa quindi dover rinunciare alla qualità estetica ed esecutiva della realizzazione finale né, tantomeno, accontentarsi di edifici di natura precaria e temporanea. Al contrario la precisa ed accurata progettazione, unita ad un’esecuzione eseguita a regola d’arte, costituiscono l’elemento primario a garanzia della massima durata dell’architettura.

Da vecchie cattedrali del consumismo a nuove piazze del protagonismo civico. Da stereotipati non-luoghi a rinnovati luoghi per la promozione di una altra e più inclusiva socialità. I centri commerciali saranno, nel prossimo futuro, i protagonisti indiscussi dei processi di rigenerazione urbana? Se volgessimo lo sguardo agli Stati Uniti, che da decenni anticipa tendenze poi pronte a manifestarsi anche alle nostre latitudini, sembrerebbe, infatti, che lo stato di salute dei mall center sia in forte peggioramento, tanto da essere stata coniata l’espressione “retail apocalypse”.

Cosa succede, invece, sull’altra frontiera dell’oceano? Nel nostro Paese, per la maturata consapevolezza che non si possa continuare a sprecare nuovo suolo agricolo e naturale in un pianeta attraversato da crisi ecologiche per la finitezza delle risorse, tra imprenditori e amministratori pubblici, istituti bancari e fondazioni, cittadini e associazioni di promozione sociale, non c’è quasi più nessuno che si dica contrario alla rigenerazione urbana sostenibile dello spazio urbano antropizzato.

Pur nella difficoltà burocratica e politica di disporre di una Strategia nazionale che orienti coerentemente la traiettoria della rigenerazione urbana, non sono stati finora pochi gli interventi che nei dettami della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica hanno consentito, soprattutto attraverso l’istituto della partnership pubblico-privata, di restituire alle comunità locali decine di aree militari o industriali o ferroviarie dismesse e fortemente degradate.

I progetti di trasformazione (e talvolta di sostituzione edilizia) hanno permesso che nascessero non solo originali esempi di social housing per le popolazioni economicamente più fragili, ma anche moderni hub per la creatività e l’imprenditorialità giovanile, musei e teatri, gallerie per le arti e laboratori digitali, nei quali sono nate micro-comunità capaci di plasmare nuove identità per i territori da loro vivacizzati.

Eppure, nonostante la rigenerazione urbana sostenibile dei centri commerciali sia ancora un tema da accademia scientifica, già ci sono alcune prime buone pratiche, sia in Italia sia in Europa. Sono esperienze che nascono anche dall’urgenza di avere polarità commerciali meno energivore e inquinanti poiché, per quanto si evince dal Rapporto Annuale sull’Efficienza Energetica redatto nel 2017 dall’Enea, per i loro consumi impiegano per oltre il 50% energia elettrica e per il 40% gas naturale. Proviamo a conoscerle.

Singapore. In una delle città-stato più attrattive del pianeta, soprattutto per le più giovani generazioni e per la sua capacità di integrare efficacemente le migliori tecnologie infrastrutturali e ambientali con quelle digitali, sin dal 2009 sono stati costruiti mall center sostenibili. Tra le architetture commerciali più note, il City Square nel panorama internazionale ha suscitato interesse, oltre che per i dispositivi ad alta efficienza energetica impiegati per una drastica decurtazione dei consumi come i pannelli solari innestati sul tetto verde, anche per l’installazione di sensori interni per il monitoraggio dell’inquinamento indoor per migliorare la salubrità dell’aria e per i numerosi percorsi didattici sull’ecologia riservati agli studenti.

Belgio. A Liegi, a due passi dalla riva della Mosa, gli architetti degli studi MDW Architecture e H+G Architects, nel desiderio di andare oltre il modello del “decorated shed”, si sono posti l’obiettivo di sottoporre il frammento urbano altamente asfaltato ad una agopuntura architettonica nell’idea che fosse necessaria elevare la qualità della vita e favorire l’accessibilità sia per i city users sia per i residenti. In ragione della sua ubicazione, la struttura esistente è stata demolita, con il nuovo volume – realizzato in legno di cedro, con una scansione ritmica variabile – sotto cui è stato trasferito il grande parcheggio, spostato al limite dell’area e la creazione di un nuovo attraversamento urbano nel verde (visivamente in continuità con quello del green roof del centro commerciale) per risanare le ferite urbanistiche del quartiere e accrescerne la fruibilità e la vivibilità.

Marche. Ad Ascoli-Piceno è stato realizzato, con la collaborazione di Albertani Corporates che ha curato il dettaglio costruttivo della copertura in legno, il shopping center “Città delle Stelle”. L’architettura commerciale, certificata Emas e riconosciuta tra le più green del Paese nel 2017, ha potuto conseguire i più alti livelli di sostenibilità ambientale per la rigorosa attenzione destinata a tutti gli elementi concorrenti del sistema tecnologico e funzionale: dagli impianti di climatizzazione a quelli di sollevamento, dall’ibridazione alla gestione dei rifiuti. La Città delle Stelle è molto più di un “semplice” centro commerciale: è per la cittadinanza un fondamentale luogo di aggregazione.

Emilia-Romagna. A Carpi, su iniziativa della Coop, è stato costruito un ipermercato green e ad alta efficienza energetica che ha consentito alla struttura, seconda in Europa, di raggiungere la prestigiosa certificazione Leed for Retail. I progettisti dello studio di architettura Macro Design Studio, attraverso un approccio integrato che prevedesse un sistema sinergico di soluzioni innovative, hanno previsto, infatti, l’impiego di 85 tubi solari per captare e amplificare la luce naturale di giorno (mentre per la sera previsti punti luce a led), per produrre energia elettrica pulita e generare un risparmio energetico annuo sui consumi totali del 45%; ma anche l’uso di sensori per ottimizzare la qualità dell’aria interna per un ambiente salubre capace di generare il massimo comfort per i fruitori. All’interno della struttura, infine, un giardino verticale di 100 mq per corroborare lo stato di benessere indoor e un bacino sotterraneo capace di accogliere fino a 10mila litri da reimpiegare per l’irrigazione dello stesso.

Quello dell’edilizia residenziale in legno è un settore che, nonostante la grandissima e costante crescita che sta registrando negli ultimi anni, si trova spesso a dover ancora fare i conti con il pregiudizio secondo cui con queste tecnologie si possano realizzare soltanto casette e baite. Infatti, nonostante la diffusione esponenziale delle realizzazioni di questo tipo e della letteratura sull’argomento, è ancora frequente la tendenza ad associare il concetto di casa prefabbricata in legno ad un edificio di piccole dimensioni e che il committente sceglie ed acquista da catalogo.

Tuttavia la realtà è ben diversa. Infatti, come spesso abbiamo sottolineato all’interno di questo blog, né l’impiego del legno né quello di tecniche costruttive di tipo prefabbricato pongono limiti o vincoli di alcun genere alle possibilità architettoniche e progettuali. Né dal punto di vista volumetrico – dimensionale, né per ciò che riguarda le scelte stilistiche e formali.

Questo significa che l’utilizzo della prefabbricazione in legno può costituire la soluzione più efficiente ed efficace per la realizzazione di edifici di qualsiasi tipologia, forma, volume ed uso: non solo piccole abitazioni monofamiliari quindi, ma anche edifici commerciali, uffici, grandi strutture destinate allo sport o alla cultura, complessi abitativi plurifamiliari.

Proprio a questi ultimi è dedicato l’approfondimento del post di oggi: edifici residenziali plurifamiliari realizzati in legno prefabbricato.

Come si costruiscono?

Gli edifici residenziali destinati a più unità familiari si qualificano, innanzitutto, per le dimensioni maggiori rispetto a quelle di una casa singola. Si sviluppano solitamente su più livelli fuori terra con eventuali piani interrati o seminterrati realizzati in cemento armato.

La progettazione e la costruzione di questi edifici presuppone pertanto l’impiego di tecniche e tecnologie costruttive adatte, appunto, alle grandi luci ed alle grandi dimensioni: sotto questo profilo, il sistema costruttivo che meglio risponde a tali esigenze e che, nello stesso tempo, garantisce anche un livello elevatissimo di resistenza ed efficienza, è l’X – lam.

Questo sistema costruttivo, al quale abbiamo già dedicato un approfondimento in questo post, prevede la realizzazione di elementi portanti di superficie attraverso l’impiego di pannelli lamellari multistrato prefabbricati: questi vengono tagliati e sagomati in stabilimento (in base alle definizioni progettuali) per diventare solai, pareti e falde. Una volta trasferiti in cantiere si procede, in maniera rapida e semplice, all’assemblaggio, che avviene a secco attraverso il supporto di connettori metallici.

L’ossatura portante dell’edificio viene quindi chiusa come una vera e propria scatola e poi rivestita dagli strati più esterni: l’isolamento termico (il cappotto) e la finitura.

La combinazione di tecnologia e modularità, unita alla definizione precisa ed accurata di tutti i nodi e le strutture, consente quindi, attraverso l’impiego dei sistemi X – lam, di ottenere massima libertà architettonica e progettuale. Questo senza tuttavia venire meno ai requisiti di resistenza e sicurezza.

Qualche esempio di realizzazione

Gli esempi realizzati di edifici residenziali plurifamiliari sono numerosi ed alcuni possono fregiarsi anche della firma di architetti illustri, come il nostro Renzo Piano. È il caso de Le Albere, intervento che ha visto anche la partecipazione della stessa Albertani Corporates s.p.a.: l’azienda è stata infatti incaricata di realizzare tutte le strutture (in legno lamellare di larice) destinate ad essere impiegate per facciate, falde e balconi di tutti gli edifici del complesso (oltre agli edifici pubblici, si contano 18 edifici a destinazione residenziale, per un totale di circa 350 unità abitative).

Legno a vista e architettura di qualità anche per il complesso residenziale Slippen, progettato dallo studio Reiulf Ramstad Architekter e realizzato a Mandal, in Norvegia. L’intervento (nella fase attualmente realizzata) costa di quattro edifici residenziali organizzati intorno ad una corte comune: le unità abitative sono in tutto 46 e si differenziano per tipologia e dimensioni. Le scelte architettoniche riprendono e traducono in chiave moderna e tecnologica le tradizioni locali: legno di cedro, tetti a falda e massimo sfruttamento dell’esposizione e della luce naturale.

“Non ci sono più i lavori di una volta”. E meno male, verrebbe da dire confutando questo vecchio adagio popolare, ancora oggi pronunciato nostalgicamente da chi guarda al passato e non riesce a proiettarsi ottimisticamente nel futuro. La crisi economica, che finalmente sembra ci si stia lasciando alle spalle, per la sua dimensione endemicamente strutturale, ha sbriciolato certezze granitiche e cancellato competenze plastiche, aprendo le strade dell’avvenire. Per un “mondo nuovo”, nel quale paradigmi come la sostenibilità ambientale e sociale o l’innovazione culturale e dei processi industriali hanno incontrato l’adesione di tanti. Sulla scia della consapevolezza che i nuovi modelli potessero portare, contemporaneamente, benefici etici, economici ed ecologici.

La parola “crisi”, che deriva dal greco, significa opportunità. Ed ha rappresentato, pertanto, per centinaia di migliaia di persone, non solo giovani, la possibilità di ricostruire la propria quotidianità. A partire proprio dal lavoro, che la nobilita e la qualifica. Con la diffusione delle nuove tecnologie digitali e l’affermazione delle economie sociali e civili orientate a dare valore a processi come la condivisione, non solo i vecchi lavori sono stati reinterpretati, ma sono nati, soprattutto, nuovi lavori, il cui tratto di originalità risiede sia nelle forme in cui è realizzato sia nei luoghi.

Proprio dal bisogno, per tanti, di saldare la necessità di disporre con una bassa spesa di una postazione funzionale per lavorare, non disponendo delle risorse per un ufficio “tradizionale”, con la possibilità di farsi contaminare intellettualmente da saperi diversi dai propri presenti nel medesimo spazio, sono nati, sempre più frequentemente in architetture industriali o civili riqualificati e ammodernati secondo i parametri della bioedilizia, i co-working. Da “semplici” luoghi per il lavoro condiviso, negli anni, per il successo che in Europa e nel mondo hanno avuto, sono diventate polarità sempre più flessibili e permeabili nella volontà di accogliere tutti quei servizi solitamente extra-professionali di cui lo smart worker può aver bisogno: oltre alla cucina o alla sala riunione, oggi in molti hub è possibile trovare una palestra, una sala giochi, un cinema-auditorium. Con molti hub oggi scelti anche per le soluzioni eco-friendly adottate per l’arredo, per la dotazione impiantistica e l’alta vivibilità garantita. Vediamo, quindi, alcuni esempi virtuosi.

Londra. Tra gli innumerevoli coworking diffusi nella capitale inglese, quello che ultimamente ha suscitato nel panorama internazionale maggior clamore è stato “TreeXOffice”. Questo progetto, infatti, a carattere temporaneo, nasce con la volontà di stimolare i cittadini a vivere maggiormente le aree verdi per rendere produttivi i parchi urbani. Le otto postazioni sono state realizzate su una piattaforma, che ruota attorno ad un tronco di albero, costituita da pannelli in policarbonato traslucido apribili così da far entrare la luce e l’aria.

Lisbona. La capitale del Portogallo ospita quello che, probabilmente, è oggi il coworking più ecologico del nostro continente. “Second Home”, infatti, realizzato dallo studio architettonico SelgasCano, oltre a nascere dalla riqualificazione del Mercado da Ribeira (1100 mq) del quale è stata conservata integralmente la copertura con le sue capriate di ferro a vista, prevede un sistema di servizi (caffetteria, biblioteca, cinema, sala benessere) volti a creare sia convivialità sia una diversa professionalità per una maggiore creatività e imprenditorialità. Al centro dell’open space luminoso e colorato, un banco extralarge lungo ben 70 metri dalla forma sinuosa – abbracciato da un migliaio di diverse piante autoctone capaci di assorbire inquinamento indoor e rumore – per favorire sinergie e lavori di gruppo, ma anche l’adeguata privacy per concentrarsi sulla propria attività.

Hong Kong. Il più grande hub professionale-sociale della città, il CoCoon, ha nella sostenibilità ambientale il suo più efficace bigliettino da visita: il pavimento è stato realizzato prevalentemente in bambù, le luci sono a led, le pareti sono dipinte con vernici naturali e atossiche, l’inquinamento indoor è fortemente ridotto dalla diffusa presenza di piante che rendono, inoltre, l’open space più accogliente e rilassante per una esperienza del lavoro più produttiva.

Denver. Negli Stati Uniti, tra gli oltre 900 coworking presenti, merita una menzione d’onore il “GreenSpace” di Denver. È un hub, infatti, che ha adottato e sperimentato la filosofia dell’economia circolare: oltre ad essere costruito con materiali ecosostenibili e aver installato oltre 160 pannelli solari sul tetto per compensare il 100% del consumo di energia, ha previsto un punto di raccolta e riciclo dei rifiuti elettronici. Anche qui, poi, le diverse postazioni, inserite in un contesto conviviale, sono circondate da piante autoctone che contribuiscono alla riduzione dell’inquinamento indoor per una più alta salubrità dello spazio condiviso.

Milano. Nella capitale economica del Paese, oltre al prestigioso “Copernico” che ha ricevuto la certificazione americana di sostenibilità aziendale Leed Platinum per la radicale attenzione anche al ciclo di vita dei materiali impiegati per la realizzazione di questo spazio nel quale si integrano la sostenibilità ambientale e l’innovazione socio-digitale, ma citata anche l’esperienza di “inEDI”. Negli oltre 900 mq disponibili, sono state realizzate circa cinquanta postazioni per i professionisti. L’energia elettrica della struttura proviene da fonti rinnovabili e tutti gli arredi interni sono realizzati con materiali riciclati. Tra i tanti offerti, un servizio particolarmente apprezzato dai fruitori di questo spazio molto confortevole è la possibilità di disporre del bike sharing per spostarsi in città in modo ecologico e sostenibile.

L’ondata di freddo eccezionale che in questi giorni ha colpito l’Italia ci ha spinto a voler riflettere e fissare qualche punto sul tema casa in legno e neve.

La neve, la soffice coltre bianca e silenziosa in grado di rendere magico ogni paesaggio e di farci tornare tutti un po’ bambini, da sempre costituisce un elemento con cui l’uomo e le sue esigenze abitative hanno dovuto confrontarsi, specialmente nei contesti geografico – territoriali caratterizzati da maggiori latitudini e da elevate altitudini. L’architettura tradizionale di questi luoghi da sempre testimonia lo stretto connubio che sussiste tra la presenza di climi molto freddi e rigidi e l’impiego del legno per la realizzazione delle abitazioni.

Perchè il legno?

Le motivazioni che rendono così stretto e duraturo il rapporto tra clima freddo e case in legno è dovuto sia a questioni pratiche, vale a dire la grande disponibilità e reperibilità di tale materiale in questi contesti, sia alle ottime prestazioni che esso è in grado di assicurare dal punto di vista dell’isolamento termico e della resistenza. L’impiego del legno infatti ha da sempre consentito la realizzazione di ambienti domestici caldi e confortevoli, in grado di mantenere il calore interno senza dissiparlo ed impedendo, nello stesso tempo, alle basse temperature esterne di penetrare.

L’utilizzo del legno unito agli accorgimenti tecnologico – costruttivi propri delle tradizioni locali garantisce inoltre ambienti asciutti, privi di umidità e sicuri, come i basamenti in pietra tipici delle baite alpine di alta quota o l’elevata pendenza delle falde atta ad impedire l’accumulo di neve.

Qualche esempio

L’impiego del legno e dei materiali locali e l’applicazione di quegli accorgimenti che, nei secoli, hanno reso confortevoli ed efficienti le case in legno in contesti climatici freddi, non costituiscono tuttavia un limite alle scelte architettoniche ed estetiche, né vincolano progettista e committente alla mera ripetizione dell’esistente . Ad oggi sono infatti numerosi gli esempi di case in legno dal design contemporaneo: si tratta di edifici che nascono dallo studio e dall’approfondimento di quelli tradizionali, ma che nello stesso tempo li declinano in maniera nuova.

Peter Zumthor, Oberhus, Unterhus e Türmlihus, Leis (Svizzera). Si tratta di tre edifici residenziali gemelli situati a Leis, nel Canton Grigioni (Svizzera): i primi due, Oberhus (residenza dello stesso Zumthor e Signora) e Unterhus, risalgono al 2009, mentre Türmlihus è stato ultimato nel 2013. In queste tre realizzazioni l’architetto Pritzker Prize fa propri i materiali e le tradizioni costruttive locali, fondendoli ad un design dal sapore contemporaneo. Le tre abitazioni sono costruite interamente in legno di pino del luogo (sia all’interno che all’esterno), attraverso l’impiego di sistemi prefabbricati assemblati in loco e presentano grandi vetrate che da un lato massimizzano il rapporto con la natura e con il paesaggio circostante e dall’altro rendono i tre edifici dei veri e propri volumi luminosi sospesi. Tutte e tre le abitazioni sono distribuite su tre livelli per un totale di circa 140 mq di superficie ciascuna ed ospitano elementi di arredo e sistemi illuminanti che vantano la firma delle grandi celebrities del design internazionale: Citterio, Arne Jacobsen, Eero Saarinen, lo stesso Zumthor.

Reiulf Ramstad Arkitekter, Split View Mountain Lodge, Geilo (Norvegia). Si tratta di una casa unifamiliare per vacanza, situata in Norvegia nella Valle di Hallingdal, nota destinazione sciistica. L’edificio si configura come un volume composto che segue e si adatta alle forme naturali ed ai dislivelli del paesaggio. È rivestito interamente in legno, sia all’interno che all’esterno e, come per le tre case di Zumthor, presenta grandi vetrate che sanciscono la profonda continuità tra il paesaggio naturale e l’ambiente domestico.

Il progetto riprende le tecniche costruttive e le scelte materiche proprie della tradizione norvegese, pur attraverso scelte formali contemporanee e pur assicurando il rispetto del paesaggio e del contesto.

CON3STUDIO, Camelot, Cesana Torinese (Italia). Camelot è uno chalet contemporaneo immerso tra le montagne al confine tra Italia e Francia. È realizzato interamente in legno e vetro, con un basamento in cemento armato su cui poggia la struttura portante in legno lamellare prefabbricato. I tamponamenti esterni garantiscono livelli di isolamento termico elevatissimi: questo, unito all’impiego di fonti di energia rinnovabile e a sistemi impiantistici a basso consumo, garantiscono la quasi totale autonomia energetica.

EM2 Architekten, Casa di caccia Tamersc, San Vigilio di Marebbe (Italia). Questo piccolo intervento si inserisce all’interno del Parco Naturale Fanes – Sennes – Braies e sostituisce una vecchia casa di caccia risalente agli anni Cinquanta. Il progetto consiste in due edifici di diverse dimensioni, rispettivamente uno adibito ad abitazione ed uno a piccolo rifugio. Sono entrambi in legno e con copertura a due falde, per riprendere i principi architettonici della tradizione locale: anche in questo caso le due strutture presentano poche ma grandi aperture vetrate che enfatizzano il rapporto con la natura e con il paesaggio circostante.

L’anno 2017 si è da poco concluso, lasciandoci in eredità la realizzazione e l’apertura di numerosi musei di tutto il mondo che vantano la firma delle più grandi archistar internazionali.

Il nuovo Centro Botìn de las Artes Y la Cultura di Renzo Piano a Santander è una grandiosa palafitta sospesa sulla baia di Albareda con rivestimento in formelle di ceramica che cambiano colore a seconda delle variazioni della luce del sole. Il Louvre di Abu Dhabi di Jean Nouvel è racchiuso sotto ad una cupola a nido d’ape che richiama la volta celeste attraverso l’impiego delle geometrie tipiche dello stile arabo. Lo Zeitz MOCAA di Città Del Capo in Sudafrica, progettato dallo Studio Heatherwick, recupera e rigenera l’architettura di un silo industriale abbandonato, per dare vita al più grande museo africano dedicato all’arte contemporanea. Il Musée Yves-Saint-Laurent a Marrakech, dello Studio KO, celebra il genio della moda attraverso un’architettura minimalista dalla forme tipicamente marocchine e dai volumi intessuti dai mattoni.

Si tratta di architetture ardite ed innovative, che nascono ex novo o che partono dal recupero o dalla rifunzionalizzazione di edifici preesistenti: l’elemento che le accomuna è, paradossalmente, la loro estrema eterogeneità, individuata dalle forme, dal design e, soprattutto, dalle diverse scelte in ambito materico. Troviamo quindi musei di mattoni, di ceramica, di cemento armato e, naturalmente, anche in legno.

All’interno del nostro blog abbiamo spesso celebrato i numerosi vantaggi che l’impiego di questo eccezionale materiale porta con sé, soffermandoci soprattutto all’ambito residenziale, quello più vicino alla nostra realtà di tutti i giorni. È tuttavia importante ricordare e sottolineare che il legno offre prestazioni e soluzioni di altissimo livello (dal punto di vista sia tecnico-prestazionale che del design) anche quando viene impiegato per la realizzazione di edifici più complessi, di natura diversa da quella residenziale: edifici per uffici e commercio, per lo sport, strutture sanitarie, scuole ed università, spazi espositivi e, appunto, musei.

Vediamo qualche esempio di museo in legno.

Il Miyahata Jomon Museum progettato dallo Furuichi and Associates si trova a Fukushimashi (Giappone) ed è dedicato alla Preistoria giapponese, precisamente all’epoca Jomon (da cui il nome) del X secolo a.C. L’edificio è realizzato in legno e cemento e si ispira, dal punto di vista architettonico ad una sorta di grotta contemporanea: sorge al di sopra di un’area archeologica e presenta una grandiosa copertura – scultura in legno che richiama all’immaginario l’idea delle stalattiti.

Il Romsdal Folk Museum progettato dallo studio Reiulf Ramstad Arkitecter e realizzato a Molde in Norvegia, è un edificio che attraverso l’architettura e la scelta di materiali locali, custodisce e racconta l’identità, la storia e la cultura del luogo. Il museo è realizzato quasi interamente in legno di pino, presenta una struttura in acciaio e risponde ai requisiti di sostenibilità e razionalità. Le sale espositive permanenti e temporanee possono variare grazie a grandi porte scorrevoli che consentono di combinare e separare gli spazi a seconda delle diverse esigenze.

Il Museo del Agua è una struttura realizzata a Lanjaròn, in Spagna, dall’architetto Juan Domingo Santos su commissione del Municipio della città e che segna l’ingresso al Parco Regionale della Sierra Nevada. Come si deduce dal nome stesso, il museo è dedicato all’acqua sia come elemento fluido e vitale, sia come risorsa economica ed industriale (l’acqua di Lanjaròn viene imbottigliata e venduta in tutta la Spagna). Il progetto è partito dal recupero di alcune strutture preesistenti di origine industriale, ma ha visto anche la realizzazione di elementi nuovi, come il padiglione di ingresso, un volume alto e stretto in doghe di abete finlandese, leggermente distaccato da terra e che definisce un vero e proprio spazio dei sensi.

Il Museum of Handcraft Paper (in italiano Museo della Carta Artigianale) si trova a Xinzhuang Village, nella Cina sud-occidentale. Il museo è composto da numerosi piccoli edifici che invitano ad entrare nel villaggio e ne costituiscono un proseguimento: in questo modo tutto il complesso edificato, le strade, le abitazioni ed il paesaggio diventano un unico grande spazio espositivo in cui l’arte della produzione della carta (da sempre risorsa e ricchezza del luogo) viene raccontata, preservata e fatta crescere. Dal punto di vista architettonico i piccoli volumi che compongono il museo sono realizzati attraverso l’impiego di materiali locali e tradizionali, unitamente a tecniche più moderne: il sistema costruttivo è quello tradizionale cinese in legno a secco mentre per i rivestimenti sono stati utilizzati legno di pino, bambù, pietra vulcanica e carta artigianale.

Il Museo del Legno di Cantù è invece uno spazio espositivo in cui il legno costituisce sia il principale materiale con cui l’edificio è realizzato (l’edificio è interamente rivestivo in legno di larice), sia ciò a cui il museo stesso è dedicato. Il Museo del Legno è stato realizzato su commissione della storica azienda brianzola Riva1920 ed ospita gli oggetti che ne raccontano la storia ed il design.

Chiudiamo il quadro con il celeberrimo Museo del Legno di Tadao Ando, realizzato negli anni Novanta all’interno della foresta di Mikata-gun (prefettura di Hyogo) per celebrare la Festa Nazionale dell’Albero. Il Museo, inserito nel paesaggio in un rapporto quasi simbiotico, è costituito da due volumi: quello principale, in legno di cedro locale, è a forma di tronco di cono ed ospita, al centro, una vasca d’acqua circolare ed una passerella sopraelevata in cemento armato che conduce al secondo volume, lo spazio museale vero e proprio. Quest’ultimo, un piccolo parallelepipedo in cemento armato, è totalmente immerso nella foresta.

Da alcuni anni, con la crescente diffusione dei modelli sostenibili e bioclimatici applicati alla filiera delle costruzioni, anche nel nostro Paese – nella necessità di abbandonare la rigidità e la mono-funzionalità degli schemi novecenteschi – iniziano ad essere realizzati eco-hospice o ospedali “green”, ossia flessibili architetture terapeutiche integrate in nature salvifiche.

In particolare, le prime sperimentazioni si sono avute con i presidi pediatrici, nell’idea che non dovessero essere luoghi stressogeni per una utenza fragile e delicata come i bambini affetti da gravi o rare patologie, ma potessero diventare “rifugi” accoglienti e colorati realizzati tra gli alberi e nei giardini. Per valorizzare la vocazione psicologica della natura e corroborare la dimensione terapeutica della cura.

Uno degli esempi italiani più importanti, recentemente celebrato anche dalla nota trasmissione televisiva Presadiretta, è l’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze per la conversione ecologica del quale prezioso è stato il lavoro di Albertani Corporates S.p.a. L’azienda, infatti, ha realizzato nella hall il sistema di travature sagomate in legno con curvatura a raggio variabile spingendo l’immaginazione verso le costole della grande balena della fiaba di Pinocchio, di cui troviamo riferimenti nel design di altri oggetti e tecnologie presenti nell’ospedale.

La rinomata struttura medica ha una geometria fortemente influenzata dalla geomorfologia del territorio nel quale precipita con una armonia costante tra costruito e paesaggio inedificato. Dopo la realizzazione di una innovativa serra fotovoltaica preposta alla regolazione della climatizzazione e di moderni dispositivi per la gestione smart della ventilazione e dell’illuminazione naturale, l’implementazione di altri impianti rinnovabili integrati a un sistema di giardini, ha consentito al polo sanitario fiorentino – dotato di una ludoteca, di una libreria, di una scuola e di un orto biologico – di diventare uno dei primi presidi medici bio-sostenibili del Paese.

Se le previsioni saranno rispettate, a partire dal 2020, il Meyer sarà raggiunto nella classifica degli eco-hospital pediatrici dalla struttura che sorgerà a Bologna progettata dall’architetto Renzo Piano per la Fondazione Hospice MT. C. Seràgnoli. Questa nuova “casa della salute”, inserita in un bosco con 400 alberi e 5000 piante, prevedrà dei padiglioni sopraelevati (a 6-8 metri d’altezza), con 14 stanze singole e 8 appartamenti per i familiari dei pazienti, distribuiti su una superficie di 4500 metri quadrati contigui all’Ospedale Bellaria. La nuova struttura sarà ricoperta da pannelli fotovoltaici, avrà facciate in legno e vetrate opache per la regolazione dell’irraggiamento. La scelta di Piano di accogliere i giovanissimi pazienti all’altezza degli alberi – “sospesi tra cielo e terra” – è motivata dalla sensibile convinzione che l’architettura, con la sua bellezza estetica e funzionale possa coadiuvare la terapia dando ai bambini un contatto con la natura e contribuendo a migliorare il loro umore.

Sempre fortemente orientato alla sostenibilità e al più rigoroso approccio bioclimatico è anche l’intervento proposto dall’ex allievo di Renzo Piano, Mario Cucinella, per la realizzazione del nuovo polo chirurgico e delle urgenze dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Nei nuovi padiglioni, un ruolo strategico sarà ricoperto dalla luce naturale che verrà accolta attraverso un involucro chiaro, leggero e trasparente, e che dialogherà con una corte che attraverserà tutti i livelli a partire dalla base interrata. Il curatore del padiglione italiano della prossima Biennale d’Architettura di Venezia “Arcipelago Italia”, anche per rispondere alle richieste della committenza, ha previsto due organismi volumetrici complementari: la piastra tecnica che ospita le funzioni ospedaliere più importanti come il blocco chirurgico con le 20 sale operatorie e il pronto soccorso; e la torre nella quale, invece, saranno accolti i reparti di degenza e gli ambulatori medici.

Nel medesimo capoluogo meneghino, infine, sorgerà entro il 2022 il nuovo Policlinico. L’ampliamento da 170mila mq della preesistente struttura è progettato dallo studio di Stefano Boeri. Per l’architetto del Bosco Verticale, il presidio sanitario, oltre a disporre di strutture d’eccellenza, dovrà aprirsi alla città attraverso il grande giardino terapeutico da 6000 metri quadrati che coronerà la piastra centrale di tre piani nel quale saranno allocati i servizi comuni e 21 sale operatorie.

Tale elemento di congiunzione metterà in relazione i due blocchi alti 7 piani: in quello sud ci saranno l’area medica-chirurgica; mentre quella nord sarà destinata all’area materno-infantile con un pronto soccorso ostetrico-ginecologico e un secondo pediatrico.