Nell’epoca dei social, del lavoro smart e dei freelance, sempre più spesso il singolo, l’individuo, vivono in una dimensione che è globale dal punto di vista della connessione digitale, ma isolata, circoscritta e limitata (ad uno smartphone, un tablet, un pc) sul piano pratico e reale. La tecnologia oggi consente infatti a molti di noi di lavorare da casa (o da qualsiasi altro luogo) pur appartenendo a realtà aziendali complesse e strutturate. Nello stesso tempo tendono ad essere più distaccate ed individuali anche le relazioni nell’ambito abitativo, sia per le esigenze e le dinamiche lavorative di ciascuno, sia per i ritmi più intensi delle nostre vite, al punto che, spesso, i rapporti con i nostri vicini si limitano al solo saluto di cortesia. A volte addirittura nemmeno a quello.

Questi due aspetti, uniti alla sempre più pressante urgenza di tutelare e salvaguardare il nostro pianeta e le risorse che ci offre, stanno aprendo la strada alla riscoperta della comunità e della condivisione, sia per quanto riguarda i luoghi di lavoro, sia per quelli dove abitare. Stanno infatti aumentando, in numero e dimensione, nuove realtà di coworking, cohousing e colinving in cui le persone lavorano, vivono, o lavorano e vivono in comunità, condividendo spazio, tempo e relazioni. Vediamo meglio in che cosa consistono.

Coworking

Coworking significa condividere uno spazio lavorativo comune con altre persone i cui impieghi sono indipendenti: impiegati di aziende diverse e lavoratori individuali come liberi professionisti, freelance e smartworker. Anche i settori di impiego possono essere differenti. Dal punto di vista fisico il coworking si svolge in spazi appositamente realizzati, dotati di postazioni per il lavoro individuale da computer e l’accesso ad Internet e, spesso, anche di banchi ed attrezzature per lavori di tipo artigianale. La scelta di lavorare in spazi di coworking porta con sé numerosi vantaggi. Innanzitutto consente a chi, per scelta o necessità, deve lavorare da casa o lontano dal proprio ufficio, di evitare l’isolamento dell’ambiente domestico e, nello stesso tempo, le distrazioni che questo può implicare. Il coworking, di conseguenza, permette anche, l’instaurazione di dinamiche sinergiche tra i lavoratori partecipanti: la condivisione degli spazi è infatti motore per lo scambio delle idee, delle energie, delle esperienze e per la creazione di rapporti e relazioni di carattere interpersonale e sociale. Infine ci sono gli aspetti legati all’economicità ed alla sostenibilità del coworking: infatti la condivisione di spazi ed attrezzature consente ai singoli lavoratori un notevole risparmio rispetto ai costi di gestione e manutenzione di un ufficio tradizionale e, nello stesso tempo, evita il consumo di risorse necessario a mantenere in attività tanti distinti e separati luoghi di lavoro destinati ciascuno a una persona o poco più. Questa prospettiva virtuosa e sostenibile di tutela e salvaguardia delle risorse del pianeta è alla base della progettazione e realizzazione di edifici per il coworking che potremmo definire green. Si tratta di edifici realizzati secondo i criteri della bioedilizia, del riuso e della riciclabilità, ad elevata efficienza energetica e a basso consumo. Potete trovare alcuni significativi e suggestivi esempi di edifici di questo tipo, in questo post .

Cohousing

Cohousing è sinonimo di abitare condiviso ed è una tipologia abitativa che prevede un complesso di abitazioni private con spazi comuni e servizi condivisi. Come per il coworking questo aspetto permette nello stesso tempo sia il risparmio ed i benefici economici ed ecologici dovuti appunto alla gestione comune di spazi e servizi condivisi, sia stimola ed alimenta la socializzazione e la creazione di relazioni interpersonali e di vicinato tra gli abitanti. I rapporti e la collaborazione tra i coabitanti iniziano spesso già prima della realizzazione delle residenze: essi infatti vengono coinvolti già nelle primissime fasi di ideazione e definizione degli edifici, grazie ad operazioni di progettazione partecipata, alla quale prendono parte i futuri abitanti – proprietari e tecnici esperti.

È proprio in questa prospettiva di sostenibilità economica, ambientale e sociale che risiede la principale spinta per la grande affermazione e la crescente diffusione di questa modalità abitativa. I complessi di cohousing sono in rapido e costante aumento nel mondo ma anche in Italia: nel nostro Paese sono stati già ultimati (o lo sono quasi) numerosi esempi di cohousing. Ne sono un esempio il Cohousing San Giorgio a Ferrara realizzato in X-Lam dallo studio Rizoma Architetture e premiato nel 2015 con il Green Building Solution Award. Il Mura San Carlo, il cosiddetto “condominio solidale” di San Lazzaro di Savena (Bologna), opera di TAMassociati sempre in X-Lam. Il COventidue, nel centro di Milano, prevede il recupero di un immobile preesistente, un edificio in stile Liberty dei primi del Novecento.

Coliving

Infine, dalla fusione – evoluzione di coworking e cohousing, negli ultimissimi anni, sta cominciando ad affermarsi una terza tipologia di condivisione, quella del coliving, unità residenziali dotate sia di spazi di lavoro in comune, sia di servizi condivisi. Si tratta quindi di luoghi che mettono a disposizione degli utenti sia quanto occorre per lavorare (una postazione, connessione ad Internet, laboratori, sale per riunioni) sia spazi e modalità per vivere, condividere esperienze e socializzare al di fuori dell’orario di lavoro. In una realtà in cui il mondo del lavoro ci obbliga a costante cambiamento e flessibilità, il coliving potrebbe rappresentare la soluzione. Il posto fisso dei nostri genitori sta infatti via via scomparendo (o più probabilmente l’ha già fatto) per lasciare spazio a situazioni di continua traformazione ed innovazione che impongono l’importanza di mantenersi sempre aggiornati e formati, di condividere idee, di confrontarsi, di essere connessi, la capacità e la possibilità di adeguarsi alle richieste del mercato, di potersi spostare, viaggiare, trasferire senza troppi vincoli. Ecco dunque che la possibilità di poter avere a disposizione luoghi in cui poter lavorare e vivere a 360°, già dotati di tutti i servizi e le attrezzature necessari e senza limiti di spazio e tempo sembrerebbe, ad oggi, proprio la risposta più efficace, che già alcune startup stanno perseguendo.


I nostri nipoti rischiano seriamente di conoscere Venezia solo dalle fotografie. Gli scienziati dell’Ipcc, il panel promosso dalle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nel rendere alcune settimane  fa il loro ultimo report – avviatosi subito dopo la Conferenza sul Clima di Parigi del 2015 – sono stati perentori e risoluti: se a livello globale non saranno assunte, rapidamente e incisivamente, nuove e strategiche politiche tese a decarbonizzare completamente l’economia facendo germogliare un nuovo modello di sviluppo radicalmente ecologico, la Terra entro la fine del secolo rischia di diventare un luogo assolutamente inabitabile e invivibile.

Il rischio che con l’aumento della temperatura media globale a 1,5° o più verosimilmente a 2° e anche più, se si continuasse ad inquinare alla velocità attuale, molte città e molti territori possano finire sott’acqua – per l’innalzamento dei mari – è molto concreto. Come assai probabile, tra gli effetti del medesimo fenomeno, è che le città diventino invivibili per l’eccessivo surriscaldamento e per le isole di calore che le attraverserebbero.

Ancor più, tutto questo potrebbe avvenire in città che entro il 2050 rischiano di ospitare, secondo le previsioni delle Nazioni Unite, almeno il 70% della popolazione mondiale, con un incremento notevole di complessità socio-antropologiche ed ecologiche-economiche da affrontare, in modo particolare secondo i paradigmi della sostenibilità e i dettami della conversione ecologica o dell’economia circolare.

Perché sono le città il cuore della sfida climatica in tutto il mondo. Perché è nelle aree urbane che si produce la quota più rilevante di emissioni ed è qui che l’intensità e la frequenza di fenomeni meteorologici estremi sta determinando e rischia di determinare sempre più danni crescenti, alle persone e alle infrastrutture. Per queste ragioni, pertanto, non solo grandi capitali globali come Londra, Parigi e Sydney, ma anche polarità europee di alto prestigio come Copenaghen, Rotterdam ed Amsterdam, per il loro rapporto genetico con l’acqua, hanno deciso, già da anni, attraverso l’implementazione di un sistema di misure adattive di rigenerare le proprie politiche urbanistiche orientandole alla sostenibilità per una connessione sentimentale con la natura.

L’architettura contemporanea, perciò, diventa una estensione della natura, in una relazione pacifica e non antitetica. L’esito di questo processo, ad oggi, sono le cosiddette “case anfibie”, le floating homes. Per quanto possano sembrare, tuttavia, ancora soluzioni avveniristiche o d’avanguardia, destinate ad una utenza ad oggi particolarmente ristretta e benestante, nel prossimo futuro non è escluso che questa tipologia costruttiva, con lo sviluppo ulteriore delle migliori tecnologie ecocompatibili e dei materiali naturali, possa diffondersi enormemente e rivolgersi ad un pubblico più ampio. Le esperienze oggi esistenti, e in aumento,  confermano la tendenza a sperimentare questa smart e ecofriendly solutions sia per il settore residenziale sia per quello turistico.

Ma come sono costruite queste “houseboats”, ossia “case galleggianti” come barche, ma energeticamente autosufficienti?

Germania. Sulla riva meridionale del lago di Geierswald sono ancorate le due case vacanza galleggianti progettate e realizzate dai fratelli architetti Wilde. Per trasformare quella che era un’idea utopica in una pragmatica realtà, per oltre sei anni hanno studiato soluzioni tecnologiche specifiche. Nel dettaglio, sono stati previsti i pontoni galleggianti assemblati con perni di accoppiamento, il cui compito è sostenere le strutture in vetro e acciaio.  Per la copertura di queste strutture a mezzo arco, invece, essendo necessario un materiale in grado di garantire la necessaria flessibilità durante il montaggio, ma anche capace di resistere all’azione corrosiva dell’acqua acida, è stato scelto l’alluminio. Per una casa tecnologicamente avanzata e ambientalmente evoluta che in caso di condizioni meteorologiche estreme le consente di galleggiare in sicurezza.

Inghilterra. Un’altra esperienza virtuosa, la “WaterNest 100”, ci porta a Londra, sebbene sia stata progettata dallo studio italiano di Giancarlo Zema. La costruzione, una casa dalla forma tondeggiante di 100 mq con un diametro di 12 m e alta 4 m, è realizzata in legno ed alluminio. Può ospitare quattro persone e può produrre energia pulita sufficiente per coprire i consumi mediante i pannelli fotovoltaici presenti sulla copertura. Gli arredi interni, inoltre, sono ecologici e l’impianto di micro-ventilazione è del tipo a basso consumo. Per l’uso di materiali sostenibili, infine, l’abitazione è riciclabile fino al 98%.

Stati Uniti. A Seattle, progettata dagli architetti Lanker e Bloxom, si trova “Houseboat H”. L’unità abitativa, una casa net zero energy (ossia energeticamente autosufficiente), è stata realizzata con materiali riciclati e riciclabili. L’elevata qualità architettonica raggiunta, come il comfort termo-igrometrico indoor garantito, le hanno consentito di essere certificata Leed Platinum, ossia di ricevere la più prestigiosa certificazione internazionale sulla sostenibilità degli edifici. Nel dettaglio, uno dei punti di forza di questa costruzione innovativa è la depurazione dell’acqua. Sulle isole galleggianti di plastica riciclata che sostengono l’abitazione, infatti, sono state inserite delle piante autoctone, le cui radici affondano nell’acqua che loro stesse provvederanno a ripulire. Per una relazione sentimentale unica con il paesaggio circostante.

Tra il 2030 e il 2050, quasi il 70% della popolazione mondiale – pari ad almeno 5 miliardi di persone – risiederà in città e in territori il cui battito cardiaco rischia di essere scandito dal ritmo dei cambiamenti climatici. La loro crescita e trasformazione è da anni diffusamente monitorata e studiata dalle Nazioni Unite, nella volontà di conseguire gli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda Urbana. Tale metabolismo urbano, pertanto, obbligherà sempre più i governi territoriali e nazionali ad adottare strumenti e tecnologie adeguate per rispondere all’ormai irrinunciabile Diritto alla Città e a garantirlo attraverso l’implementazione di pratiche sostenibili.

L’urbanità, perciò, sarà sempre più una esigenza da soddisfare con metodologie diversificate in base al contesto e integrate da approcci multidisciplinari capaci di decodificare la complessità contemporanea, da un lato sociale-culturale e dall’altro economica-ecologica. L’ormai sregolata e incontrollata diffusione italiana (o sprawl), in un Paese come l’Italia dove è andato in crisi l’istituto della pianificazione ed è assente la cultura della prevenzione, ha avuto tra i principali nefasti effetti quello di vedere intere regioni impermeabilizzate, ora per le infrastrutture ora per gli insediamenti residenziali o industriali, con il consumo di suolo che, nel combinato disposto con il dissesto idrogeologico, sta ridisegnando la geografia del nostro Paese a tutte le latitudini. Alla velocità di 2 mq al secondo, secondo i dati forniti dall’Ispra, con altri 54 km quadrati di territorio coperti artificialmente e persi irrimediabilmente. E trasformato, spesso, in modo tale da non assicurare una piena ed universale fruibilità a tutti i suoi potenziali utilizzatori.

A prescindere dalla sua destinazione d’uso o dalla sua proprietà, quindi, rigenerare il patrimonio esistente, non è oggi indispensabile solo per mere questioni economiche, ma etiche e civiche. I cittadini, infatti, come testimoniano le sempre più numerose e virtuose esperienze di rigenerazione urbana innestate dall’innovazione sociale rivendicano città sempre più belle, inclusive e aperte. Ossia capaci di tenere insieme i paradigmi della qualità estetica e dell’accessibilità (fisica, ma non solo).  

La vera sfida per le città italiane, nel prossimo ventennio, non sarà solo di reinventarsi e rinnovarsi, ma di farlo secondo una visione precisa che restituisca ai cittadini il loro ruolo di co-autori dei processi decisionali superando la asfittica retorica politica odierna che, anzi, corrobora la sfiducia nelle Istituzioni. Per vincere la partita del cambiamento, che oggi stiamo perdendo, occorre, dunque, “rimuovere gli ostacoli” (art. 3 della Costituzione) di qualsiasi ordine: non solo le barriere architettoniche, ma tutte le infrastrutture antropologiche pregiudizievoli limitanti la mobilità nello spazio pubblico e la sua fruibilità. La vivibilità delle città sarà sempre più misurata dalla sua accessibilità. Per dare dignità ulteriore a chi è in una condizione di disabilità.

Per questo e sin dal 2016, l’Istituto Nazionale di Urbanistica (Inu), nell’ambito del suo “Progetto Paese”, ha promosso la costituzione di specifiche communities: tra queste, particolarmente proattiva è quella che si occupa di qualificare i tessuti urbani anche per chi vive una qualsivoglia forma di disabilità e dall’impegno profuso nell’ultimo biennio è nata la pubblicazione “Verso città accessibili”, con l’obiettivo di diffondere le buone pratiche realizzate sul territorio nazionale.

Nel piccolo comune umbro di Spello, dopo il terremoto del ’97 e in conformità con gli strumenti urbanistici vigenti (anche di nuova formazione), l’Amministrazione Comunale nella volontà di recuperare il prezioso e densificato centro storico, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie, ha agito per rendere, per residenti e city user, il territorio urbano accessibile, accogliente e attrattivo. Oltre alla demolizione delle barriere architettoniche, si è lavorato sul patrimonio culturale e artistico esistente perché il suo linguaggio diventasse comprensibile per tutti.

A Cecina, invece, l’intervento di rigenerazione urbana ha coinvolto un quartiere semi-periferico in cui sussistono edifici scolastici, una biblioteca e un teatro, impianti sportivi e centri sociali. Il Comune, mediante una progettazione integrata, ha rimosso tutte le barriere architettoniche, ha rinaturalizzato l’area, l’ha dotata di un sistema di illuminazione smart per regolarne l’intensità in base ai suoi usi pubblici, ha consentito la sua piena fruibilità ai diversamente abili consentendo una crescita evidente e diffusa della qualità della vita.

In Puglia, infine, notevole il lavoro condotto dal laboratorio “ArchiEtica” nelle province di Bari e della Bat o quello dell’associazione “LeZzanZare” nel capoluogo sulla psico-geografia urbana invitando architetti e amministratori normodotati ad usare per alcune ore sedie a rotelle e cani-guida per diagnosticare la difficoltà quotidiana negli spostamenti dei diversamente abili ed elaborare consapevolmente una mappa di tutti gli ostacoli presenti nelle città per progettarne progressivamente la rimozione. Per l’estate appena superata, per esempio, è stata realizzata una passerella, tecnologicamente supportata, per consentire in sicurezza l’entrata in acqua di chi vi arriva con la carrozzella.

 

Nell’era geologica che stiamo attraversando, cosiddetta “antropocene” – ossia fortemente segnata dall’azione dell’uomo sul patrimonio naturale – anche l’architettura sta entrando in una nuova stagione.

Al centro di questa rivoluzione copernicana, principalmente, due aspetti: da un lato, la ricerca da parte dei progettisti di una empatica prossimità con i futuri fruitori dello spazio fisico preferibilmente rigenerato secondo un approccio integrato multidisciplinare e una visione olistica; dall’altro, la necessità e l’urgenza di un’azione interscalare comunque collettiva che metta al centro la tutela della biodiversità e la valorizzazione paesaggistica, accogliendo la dimensione sociale e culturale, in modo particolare dei territori fragili e marginali.

Tra gli architetti che più hanno compreso e rappresentato, nel recente passato, il cambiamento in nuce, non possiamo non citare Giancarlo De Carlo, per il quale non solo la partecipazione – per come assimilata dalla Scuola Scandinava – era un prerequisito essenziale per la successiva progettazione, che diventava in questo modo un modello di co-pianificazione; ma anche che l’architettura, non scissa dall’urbanistica, nelle sue declinazioni pratiche non agisse in contrasto con l’ambiente, ma anzi in armonia con essa.

Questa lezione, e in un certo senso l’eredità culturale e progettuale di De Carlo, nell’idea di voler creare una continuità tra passato, presente e futuro, ma anche nella consapevolezza che occorra saldare tradizione ed innovazione, sembra sia stata perfettamente acquisita da Mario Cucinella, curatore del Padiglione Italia dell’ultima Biennale d’Architettura di Venezia.

Se per De Carlo, infatti, era quasi un imperativo categorico provare a democratizzare l’architettura rendendola permeabile alle ibridazioni provenienti da altri saperi e a renderla accessibile ad un ampio pubblico; per Cucinella sembra sia urgente ecologizzare i processi che concorrano a produrre un’architettura di qualità, ontologicamente plurale, a cominciare dai linguaggi impiegati e dalle metodologie sperimentate.

Da verticale e, spesso, autoreferenziale, l’architettura, per Cucinella, rinasce dal basso dall’ascolto dei territori marginali come le aree interne e dalla produzione di innovazione sociale per una testimonianza orizzontale e circolare che nei paradigmi della sostenibilità socio-ambientale riverbera la sua nuova identità contemporanea.

Il Padiglione Italia, ribattezzato proprio per la sua vocazione Arcipelago, è organizzato in tre parti. Nella prima sono riconoscibili 8 itinerari che accolgono una settantina di progetti di architettura contemporanea distribuiti tra borghi, paesaggi e parchi, per rivelare la qualità diffusa dei paesaggi italiani. La seconda ospita l’esito di un rigoroso e approfondito studio condotto dal Cresme sulle evoluzioni demografiche e sociologiche del nostro Paese, tra spopolamento e cambiamento climatico. Nell’ultima, infine, sono presentati i 5 progetti di ricerca elaborati dai sei studi selezionati che hanno agito in cooperazione con università e attori locali.

Tra questi, particolarmente suggestivo è il progetto-processo che ha coinvolto il territorio della Foreste Casentinesi – situate tra l’Emilia e la Toscana, inserite nella lista del Patrimonio Unesco a luglio 2017 – con cui viene indagato il tema della foresta come sistema produttivo. Il legno, dunque, diventa protagonista assoluto della rinascita di un territorio. Il legno come materiale naturale che contribuisce allo sviluppo economico della comunità attraversata dal cambiamento e rigenerata socialmente.

Per la Biennale, quindi, il team selezionato ha previsto un edificio polifunzionale capace di accogliere più attività complementari nella valorizzazione massima degli spazi. La materità del legno incontra la fluidità delle superfici vetrate previste per favorire l’armonizzazione architettonica e l’inserimento nel contesto naturale dell’opera, secondo una armonia convergente tra esterno ed interno.

Il legno, tuttavia, e in generale i materiali naturali, come le tecnologie in grado di assicurare come risultato finale quello di avere architetture bioclimatiche energeticamente efficienti, caratterizzano tutto lo spazio espositivo allestito, nella volontà di illuminare quella parte di Italia che non si conosce, ma che è già realtà e che si punta a far diventare icona dell’Italia del futuro, o del diverso presente, che attende solo di essere abbracciato. Perché, oggi più che mai, l’architettura ha senso non solo se incontra e si fonda con la natura, ma anche e soprattutto se intercetta armonicamente ed empaticamente la cultura dei luoghi – la loro coscienza – per la loro solida e solidale valorizzazione.

Manca poco. Ancora poche settimane e poi decine di migliaia di giovani, in tutto il Paese, torneranno a scuola. Pronti a spalancare le finestre sul mondo. In un mondo che cambia, nel quale occorrono strumenti e linguaggi diversi per comprenderlo e riconoscerne le trasformazioni, ma anche visioni per anticipare il futuro che già bussa alle porte, anche gli stessi istituti devono adeguarsi alle sfide della contemporaneità.

A tali istituzioni civili, infatti, è richiesto di intervenire non solo su una didattica attrattiva e interattiva in grado di declinare efficacemente e pluralmente la sfera della complessità socio-culturale o temi particolarmente delicati quali i cambiamenti climatici e la conversione ecologica dell’economia, ma anche sulla loro estetica rigenerativa capace di accogliere le dimensioni della sicurezza antisismica, della manutenzione statica e dell’efficientamento energetico.

Le prime agenzie educative del Paese, del resto, non sono luoghi banali o come altri. Sono e sempre più stanno diventando vere e proprie “case della formazione”, vissute anche oltre l’orario extrascolastico (spesso anche da semplici cittadini per le attività ricreative promosse), nelle quali i fruitori assaporano il gusto della scoperta e sperimentano il gesto della creatività, nelle quali piantano i semi dell’immaginazione per raccogliere i frutti dell’innovazione.

Le strutture più all’avanguardia, quindi, sono quelle che, realizzate o ristrutturate attraverso l’impiego di materiali sostenibili come il legno (da solo o insieme ad altri, a livello strutturale come a livello “ornamentale”) o riciclabili (per esempio, per allestire atossici sistemi di isolamento termo-igrometrico), rivelano la strategicità della relazione tra natura e architettura. Per un apprendimento, confermato da una molteplicità di studi di stampo psico-somatico, più rigoroso e più performante.

Oltre che nel resto d’Europa e del mondo, anche nel nostro Paese, da alcuni anni e per il merito dell’iniziativa governativa #scuoleinnovative, i poli dell’istruzione, primaria e secondaria, iniziano ad essere costruiti o rigenerati nei dettami dell’architettura bioclimatica, anche attraverso la valorizzazione delle nuove tecnologie digitali. Vediamo, pertanto, alcuni esempi.

Asilo nido a Guidonia Montecelio (Roma). L’intervento, progettato da Donatella Petricca e Massimiliano Muscio con l’idea di avere una struttura energeticamente “passiva”, come si può leggere nella scheda descrittiva del nuovo istituto, prevede “un asilo articolato in tre volumi, ognuno dei quali caratterizzato da una precisa funzione. Gli elementi costruttivi principali (struttura portante verticale e solai di copertura) sono stati realizzati in pannelli di legno multistrato a strati incrociati Xlam che forniscono un ottimo livello di isolamento termo/acustico e anti-sismico”. La buona tenuta dell’involucro, conseguentemente, ha consentito ai progettisti di prevedere la minima dotazione impiantistica necessaria a garantire sia in estate sia in inverno le migliori condizioni di comfort. Nello specifico, quindi, oltre all’impianto fotovoltaico e al solare termico posti sulla copertura, è stata installata una pompa di calore e un sistema di ventilazione meccanica controllata con recupero di calore. Per la realizzazione di quest’architettura eco-compatibile, inoltre, fondamentale è stato il contributo di Albertani Corporates: non solo per aver messo a disposizione la quantità di legno necessario, ma anche per aver curato in cantiere il montaggio degli elementi costruttivi per un’opera dalla grande e riconosciuta qualità ecologica.

Scuola superiore “Hannah Arendt” (Bolzano). Una delle scuole ipogee più moderne del mondo. L’istituto, ampliato nel 2013 in ragione dell’esigenza di dotarlo di undici nuove aule e quattro laboratori, si trova, infatti, nel centro storico della cittadina e in un complesso architettonico sottoposto a tutela. Eppure, per l’elevata qualità progettuale prodotta attraverso soluzioni funzionali eco-compatibili, dai fruitori non sono percepiti i quattro problemi principali dati dal “vivere sottoterra”: luce, senso di claustrofobia, ventilazione e umidità.

Polo didattico “Romolo Capranica” ad Amatrice. In uno dei comuni più colpiti dal sisma del 2016, su impulso della Ferrari, a settembre sarà pronto il nuovo innovativo campus da 12mila metri quadrati, per oltre 300 persone, innestato nel panorama dei Monti della Laga. Il Polo ospiterà il Liceo scientifico sportivo internazionale, la Scuola secondaria di primo grado e la Scuola primaria, ma anche il Convitto, la palestra e la materna con annessa ludoteca. Realizzato nel rispetto delle più evolute pratiche bioclimatiche e mediante l’impiego del legno, si propone di rappresentare un modello virtuoso per la ricostruzione di strutture pubbliche destinate all’istruzione danneggiate da fenomeni ambientali traumatici come i terremoti.

Scuola elementare e scuola media a Milano. Sono in corso di realizzazione, nel capoluogo lombardo (in via Brocchi e in Via Strozzi), due complessi scolastici polifunzionali ed ecofriendly progettati interamente in legno secondo i parametri più spinti dell’architettura bioclimatica. Qui trovano posto una palestra, una mensa, una biblioteca e un auditorium. La scelta del materiale naturale deriva, dunque, dalla volontà di tenere insieme la componente tecnica con quella civica-pragmatica. Con la sintesi resa possibile, secondo i progettisti incaricati, dall’impiego del Bim, fin dalla fase preliminare, che ha permesso a una platea di professionisti diversi e agenti in ambiti complementari di cooperare sinergicamente per il successo della sperimentazione. I due edifici – soprattutto quello che sorgerà in Via Brocchi e che sarà costruito da Albertani Corporates – presentano una geometria che si inserisce organicamente e armonicamente nel contesto attraverso aree verdi, orti, giardini pensili, aree dedicate alle attività ludiche o sportive all’aperto. Particolare attenzione, inoltre, è stata rivolta all’illuminazione e alla ventilazione naturale per una più alta qualità indoor ad impatto quasi nullo. Durante la fase di progettazione, infine, la forma dei fabbricati e il disegno delle superfici opache o vetrate è stato studiato per incrementare lo sfruttamento passivo della risorsa solare, come dimostrano i frangisole in legno o a lamelle che proteggono l’edificio dal surriscaldamento.

Il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, lo ha detto chiaramente: non possiamo più permetterci di sprecare il suolo e consumarne ancora grandi quantità, sottraendo superfici all’agricoltura, per realizzare nuove infrastrutture viarie o poli industriali e artigianali, spesso di dubbia utilità.

L’invito, rivolto soprattutto agli amministratori locali, ma anche ad imprenditori ed operatori della filiera delle costruzioni, è netto: bisogna puntare ed investire sulla rigenerazione urbana e territoriale, secondo un approccio integrato ed interscalare, che restituisca vitalità ed inclusività alle città.

Agire nella rigenerazione urbana, dunque, non significa – come pur sta avvenendo impropriamente in alcuni casi – andare a sigillare le aree interstiziali presenti nel tessuto consolidato che, anzi, andrebbero lasciate libere per favorire il regolare deflusso delle acque meteoriche.

Credere e scommettere nella rigenerazione urbana significa voler innestare sul territorio semi di innovazione sociale e di partecipazione transgenerazionale i cui frutti possano incidere sul nuovo metabolismo urbano: prima che un insieme di progetti, la rigenerazione urbana è un processo progressivo di co-creazione dal basso che potrebbe produrre scelte decisionali diverse da quelle attese in origine e che dovrebbero spingere alla riqualificazione architettonica ed energetica, oltre che alla rifunzionalizzazione per una più adeguata valorizzazione, dell’immenso patrimonio edilizio esistente nel nostro Paese.

Tali trasformazioni, poi, risulterebbero ancora più accattivanti ed intriganti, e iniziano ad esserci una pluralità di esperienze che confermano la bontà della direzione intrapresa, se realizzate con materiali naturali e riciclabili. Nell’esigenza non solo di applicare il paradigma dell’economia circolare alla città e alle pratiche urbanistiche, ma di provare a saldare armonicamente i principi dell’architettura, della cultura e della natura.

Alcune tra le più importanti operazioni di rigenerazione urbana sostenibile, da un punto di vista meramente applicativo, oggi prevedono l’uso del legno – con la giusta essenza individuata anche in ragione del contesto e, spesso, anche dell’effetto cromatico desiderato – in aggiunta al quale si considerano la canapa, il sughero, la lana di pecora. La crescita dei materiali naturali, esito di una sempre più profonda e diffusa consapevolezza che le risorse ambientali siano limitate e che occorra difendere la biosfera non avvelenandola più con i prodotti e gli scarti dell’economia fossile, è dovuta anche alla volontà di sempre più utenti di vivere in case o di agire in strutture salubri, dal riconoscibile benessere indoor per le certificate condizioni termo-igrometriche.

Una delle esperienze più innovative, in tal senso, si è avuta a Bisceglie, in provincia di Bari. In un’area contaminata dall’amianto e a ridosso della stazione ferroviaria, dopo le opportune operazioni di bonifica e di demolizione degli organismi edilizi fatiscenti, sono nate le Case di Luce.

Si chiama così l’edificio, progettato dagli architetti di Pedone Studio che – premiato nel 2016, durante la Cop 22 di Marrakech, con il Green Building Construction Award – si propone di diventare un modello replicabile ovunque, soprattutto nel clima mediterraneo (nel quale è peculiare il fabbisogno di un raffrescamento estivo adeguato), per il sistema tecnologico impiegato.

Tale green building, infatti, opportunamente ideato nel rispetto dei più rigorosi criteri dell’architettura bioclimatica, oltre alla scelta del legno, ha il suo punto di forza nel biomattone Natural Beton, certificato Leed: ossia in un mattone realizzato con canapa e calce che consente la notevole traspirabilità delle pareti e concorre all’elevato benessere indoor degli ambienti domestici. L’impiego di materiali naturali, unito ai migliori dispositivi per assicurare una alta e performante efficienza energetica, ha ridotto al minimo l’uso degli impianti, tra i quali riconosciamo quelli per la produzione di energia rinnovabile da fotovoltaico e di acqua calda sanitaria e la ventilazione meccanica controllata per il ricircolo dell’aria, nel rispetto della normativa vigente.

Sempre più statistiche e studi di settore lo confermano. L’edilizia green, negli ultimi anni e anche rispetto a quella tradizionale con ancora molti operatori della filiera che stanno facendo fatica ad innovare i loro processi produttivi, non solo sta continuando ad attraversare una entusiasmante “primavera”, ma sta accompagnando, perentoriamente, nel futuro l’intera industria delle costruzioni, da sempre particolarmente energivora e corresponsabile dei tassi di inquinamento che rivelano la rapidità di avvelenamento delle nostre città.

L’edilizia sostenibile, se ci si limitasse ad analizzare le stime dei nuovi green jobs, sta producendo, nel panorama internazionale e, quindi, anche nel nostro Paese, sia centinaia di migliaia di nuovi occupati (oltre 350mila negli ultimi 4 anni) sia, soprattutto, per benefici economici ed ambientali sistemici e di prospettiva, progressi strutturali nell’ambito delle tecnologie e dei materiali naturali impiegati per rendere le nostre città più vivibili e accoglienti e per conseguire, tra le altre cose, anche gli Obiettivi di Sostenibilità indicati dalle Nazioni Unite e che andrebbero raggiunti entro il 2030.

La più importante innovazione tecnica-tecnologica in ambito statico-architettonico, nell’ultimo decennio – anche nell’idea di spingere sempre più il paradigma della rigenerazione urbana e di contrastare, contestualmente, il fenomeno del consumo di suolo – è indubbiamente rappresentata dai grattacieli in legno, del quale, sul blog di Albertani Corporates, ci siamo già occupati e dei quali torniamo ad occuparci non solo in ragione di alcune recenti progettazioni o realizzazioni degne di nota, ma anche per l’indispensabile necessità di sottolineare ancora come il protagonista indiscusso di questo ultimo decennio sia il legno e come esso sia ormai universalmente riconosciuto come “il materiale per le costruzioni del XXI secolo”.

Il legno, infatti, oltre ad essere una essenza naturale rinnovabile e riciclabile che non trasferisce in atmosfera emissioni, come nel caso del calcestruzzo, ha innumerevoli proprietà fisiche e meccaniche, oltre ai suoi innumerevoli pregi estetici e virtù funzionali. Se da un lato, il legno garantisce ottime performance energetiche, più che rassicuranti prestazioni antisismiche e una migliore tenuta al fuoco, anche più dell’acciaio; dall’altro, oltre ad una sua intrinseca eleganza multi-applicativa dettata dalla sua versatilità, consente realizzazioni in tempi più rapidi e a costi certificati attraverso i sempre più accurati processi di industrializzazione.

La prefabbricazione, in particolare, vive in questi ultimi anni una stagione di grande evoluzione nella quale le sperimentazioni tecnologiche, per esempio sul Cross Laminated Timber (sovrapposizione di più strati di legno massiccio, incollati tra loro secondo specifiche angolazioni delle fibre), e le ibridazioni materiche (per esempio tra il legno ed altri materiali), stanno spingendo la filiera del legno verso inediti risultati qualitativi e quantitativi, nei dettami più rigorosi della sostenibilità ambientale e sociale.

Ma quali sono gli ultimi progetti che rischiano di innescare “la rivoluzione verticale” nelle nostre città italiane ed europee, oltre che nelle più grandi metropoli globali?

Giappone. Nella capitale Tokyo, se mai sarà realizzato entro il 2041 nel rispetto delle severissime norme antisismiche in vigore nel paese del Sol Levante, sorgerà il wood building più alto mai costruito: 350 metri, per 70 piani. Il monumentale edificio ribattezzato W350, al 90% in legno e al 10% in acciaio, presenterà una balconata che lo cingerà completamente lungo tutti e quattro i lati. Per realizzarlo su una superficie complessiva della base di 6500 mq, secondo le stime ad oggi disponibili, occorreranno quasi 185mila metri cubi di legname.

Canada. In attesa della realizzazione nipponica, il Premio Pritzker Shigeru Ban, nella città di Vancouver, ha firmato il progetto del grattacielo Terrace House, ad oggi l’edificio in legno più alto del mondo con i suoi 71 metri distribuiti su 19 piani. La torre, nata dalla capacità dell’architetto giapponese di sperimentare geometrie e materiali per risultati inattesi e sorprendenti, si configurerà, perciò, come una delle costruzioni più innovative del mondo. La sua modernità, nello specifico, deriverà dall’uso di sofisticati sistemi di domotica e per il raffrescamento/riscaldamento per il raggiungimento dei più alti standard di benessere indoor. Da un punto di vista architettonico, invece, Ban ha optato per forme triangolari e materiali naturali, facendosi ispirare dal contiguo e storico edificio del 1971 di Arthur Erickson con il quale, attraverso delle terrazze, ha voluto creare un collegamento. Per l’intelaiatura, infine, oltre al legno locale, sono stati impiegati sia l’acciaio sia il calcestruzzo. Sempre a Vancouver, inoltre, l’architetto Michael Green ha progettato le due torri, alte trenta metri, del “Tall Wood Buildings”.

Francia. L’architetto francese Jean-Paul Viguier ha vinto il concorso per un edificio a destinazione mista (residenze e uffici) a Bordeaux, costituito da tre torri in legno, la più alta delle quali – la Torre Hyperion – raggiungerà i 57 metri. L’edificio, la cui consegna prevista è per il 2020, sarà realizzato con strutture prefabbricate utilizzando pannelli massicci di legno laminato che, secondo l’architetto, consentiranno alle famiglie di intervenire con facilità per adeguare le abitazioni al cambiare delle esigenze di vita.

Italia. A Jesolo, per l’estate 2019 se le previsioni saranno confermate, in queste “olimpiadi della verticalità” partecipate dai migliori architetti esperti della materia, sarà pronto il più grande grattacielo in legno d’Europa, il “Cross Lam Tower”. L’intervento, progettato da Simone Gobbo, Alberto Mottola e Davide De Marchi – vincitori nel 2015 del premio Young Italian Architects – ha previsto un investimento di oltre 10 milioni di euro per questo edificio che si svilupperà per 12 piani. La torre, che sarà realizzata secondo gli standard più evoluti della bioedilizia, punta sul mixité funzionale e su alte performance di efficienza energetica, oltre che di benessere indoor.

Le città occupano solo il 2% della superficie globale, ma per il loro sostentamento impiegano i tre quarti delle risorse disponibili, con un bilancio socio-ambientale che potrebbe peggiorare entro il 2050, quando oltre il 70% della popolazione mondiale vivrà negli spazi antropizzati per definizione. È fondamentale, quindi, agire già da oggi per mitigare gli effetti e gli impatti di tutte quelle attività umane o processi industriali ad alto consumo energetico – come l’edilizia o l’architettura – e ad alto rischio climatico che incidono sulla qualità della vita.

Occorre considerare, dunque, nella fase di transizione ecologica che stiamo attraversando, l’urgenza, da un lato, di convertire i processi e le tecnologie, orientandoli verso uno sviluppo realmente sostenibile; dall’altro, di ricorrere a materiali naturali e riciclabili, quando non già riciclati, adottati in ottemperanza alle nuove prescrizioni comunitarie sull’economia circolare.

In questo scenario assolutamente fluido e di metamorfosi strutturali nel quale l’uomo si riscopre coinvolto in una relazione armonica con la natura, il rifugio principe per ciascuno di noi, la casa, anche per le continue sperimentazioni tecnologiche e diffuse pratiche ecologiche, viene radicalmente ripensata e ridefinita.

Non solo da luogo permanente di accoglienza che si fa temporaneo, da spazio ampio e quasi monofunzionale che si riduce nei metri quadri per modificate esigenze d’uso ed economiche senza perderne in intimità; ma anche per la possibilità crescente di impiegare per la loro costruzione materiali naturali ecocompatibili che ne elevino la qualità, la vivibilità, la durabilità.

Oltre al legno, infatti, che continua ad essere sulla cresta dell’onda e che punta a confermarsi come “materiale del secolo” per le sue performanti peculiarità, stanno conoscendo una rapida affermazione e diffusione sia la canapa, sia il cartone. E non soltanto come materiali isolanti, ma proprio da costruzione. Da potersi impiegare da soli o in combinazione, in modo particolare, con il legno o anche con l’acciaio (nel caso del cartone).

Il cartone, tra i cui primi utilizzatori troviamo l’architetto giapponese e Premio PritzKer 2014 Shigeru Ban, non è solo leggero, flessibile, naturale, riciclabile ed economico – e basterebbe questo per prenderlo seriamente in considerazione – ma, opportunamente lavorato con appositi macchinati e mediante collanti naturali, nella versione pressato o ondulato, garantisce una buona resistenza statica e una discreta resilienza ignifuga. Il nostro Paese, ad oggi, può presentare un paio di esperienze virtuose che iniziano a farsi conoscere e apprezzare anche oltre confine.

La prima, ispirata dall’entusiasmo e dalla tenacia di quattro giovani professionisti, nasce a Catania e per merito della startup siciliana Archicart che, dopo alcune iniziative pilota sperimentali, ha brevettato un proprio sistema costruttivo per realizzare case ad alta industrializzazione low cost in cartone facilmente assemblabili in cantiere. La giovane azienda, nell’idea di sfruttare e valorizzare le potenzialità del materiale, realizza allestimenti per fiere e padiglioni per esposizioni, attraverso le quali si propone di sensibilizzare la filiera delle costruzioni a scoprire le opportunità offerte dall’uso sostenibile del cartone in edilizia.

Sull’esempio di Shigeru Ban, per il quale spesso sostenibilità e solidarietà sono le due facce della stessa medaglia (si pensi alla nuova Concert Hall inaugurata nel 2011 a L’Aquila e realizzata integrando il cartone all’acciaio), lo scorso anno a Milano, su iniziativa dell’artista e designer Maurizio Orrico, sono state realizzate alcuni piccoli rifugi temporanei, impermeabili ed ignifughi, per i senza fissa dimora della stazione centrale. Queste soluzioni abitative, che pesano circa 10 kg e che sono quasi istantaneamente fruibili una volta collocate sul sedime individuato, rappresentano un ulteriore esempio di come potrebbero essere affrontate nelle nostre città le più gravi condizioni di marginalità, ma anche come potrebbero essere sanate, nella prima fase emergenziale postevento, le profonde ferite provocate dai disastri naturali come i terremoti o le alluvioni.

Sulla scena internazionale, infine, va citata l’esperienza esemplare dello studio d’architettura olandese Fiction Factory che, progettando nei dettami della bioarchitettura, ha ideato “una mini-casa di cartone che dura 100 anni”. Il prototipo, battezzato Wikkelhouse che significa letteralmente “casa incartata”, prevede l’uso sapiente del cartone ondulato, con moduli – rivestiti internamente in legno e ricoperti esternamente da una pellicola traspirante e impermeabile – assemblabili in cantiere in due giorni e concepiti per essere, a seconda delle esigenze dell’utente, assolutamente personalizzati.

Domenica 3 Giugno, a diversi anni di distanza dalla chiusura della precedente struttura, è stato finalmente inaugurato a Cefalù il nuovo resort Club Med, primo cinque tridenti d’Europa.
Il taglio del nastro si è svolto con una festa in grande stile, in un tripudio di eventi e di ospiti ed alla presenza delle massime autorità locali e dei vertici di Club Med, il cui Presidente Henri Giscard D’Estaing (insignito, nel corso dell’evento, della cittadinanza onoraria della città di Cefalù) si è detto “orgoglioso di avere partecipato alla rinascita di un mito”.
L’attività della struttura è immediatamente partita con grande spinta e con ottime risposte da parte del mercato, al punto che le prenotazioni per la stagione estiva appena iniziata hanno già superato l’80% della capacità ricettiva disponibile e su Instagram l’hashtag #clubmedcefalu conta già oltre 1.200 post.

70 anni di Club Med nel mondo

Club Med è il gruppo leader nel mondo per il settore delle vacanze all – inclusive, fondato nel 1950 con l’obiettivo di dare forma e corpo ai sogni di felicità di persone di qualunque tipo: coppie, famiglie, single, ecc. Non a caso lo slogan dell’epoca recitava: “Lo scopo della vita è essere felici; il momento per essere felici è adesso; il posto per esserlo è qui”.
Da allora, in tutti i luoghi più belli del mondo hanno cominciato a nascere i villaggi Club Med (oggi se ne contano più di 70), che sono diventati essi stessi simbolo della Vacanza per eccellenza.
La storia d’amore che lega il gruppo all’Italia inizia già nel 1951, con l’apertura del villaggio di Baratti in Toscana e prosegue (rinnovandosi), oggi, con l’inaugurazione della rinnovata struttura di Cefalù, nuovo fiore all’occhiello e prodotto di punta dell’offerta Club Med nel mondo.

L’operazione Cefalù ha richiesto investimenti per quasi 90 milioni di euro che hanno riguardato da un lato la ristrutturazione ed il restyling della struttura preesistente chiusa dal 2005 e, dall’altro, la messa in scena della nuova testa di serie del gruppo per la categoria Exclusive Collection, che rappresenta la nuova concezione del lusso secondo Club Med. Infatti, in quasi 70 anni di storia, il gruppo Club Med ha sempre saputo adattarsi ed evolversi in funzione delle aspettative e delle richieste di una clientela sempre più esigente dal punto di vista sia della qualità dei luoghi e dei comfort, sia della ricerca di esperienze spirituali ed emozionali: questa filosofia, o meglio, questa costante aspirazione alla massimizzazione del lusso, è stata applicata e sviluppata nel corso degli anni nei villaggi di tutto il mondo ed è stata portata all’apice proprio nella struttura di Cefalù, dove gli ospiti possono ritrovare il proprio equilibrio interiore e la propria intimità attraverso esperienze memorabili e percorsi interiori di felicità e benessere.

Club Med Cefalù

Dal punto di vista dell’offerta turistica, la ristrutturazione e la riapertura del villaggio Club Med Cefalù, rispondono, quindi, proprio all’obiettivo di definire e dare vita ai nuovi standard della Club Med Exclusive Collection, la gamma dei villaggi extra – lusso.
Questo processo di miglioramento ed aggiornamento dell’offerta avviene innanzitutto a partire da quegli aspetti che, da sempre, costituiscono parte integrante e nota distintiva di tutti i villaggi Club Med, come la possibilità di scegliere tra un’ampia gamma di attività sportive e di escursioni nel territorio e nello stile di vita locali e la particolare cura ed attenzione riservata a tutti gli ospiti.

Nel resort di Cefalù a questi aspetti più tradizionali, si aggiungono anche quelli legati al paesaggio: il villaggio sorge infatti in un’area di circa 14 ettari posta al di sopra del promontorio di Santa Lucia da cui si gode una spettacolare vista sulla baia di Cefalù, sul Mediterraneo e sulla città stessa. Il rapporto con il paesaggio naturale circostante è molto profondo ed è ulterioremente sottolineato ed enfatizzato dalle scelte progettuali e materiche attuate dallo Studio King Roselli, che ha seguito tutti i passi della ristrutturazione. L’architettura della struttura integra il design semplice e minimalista delle nuove strutture con le esigenze di tutela e di recupero degli edifici storici preesistenti di epoca settecentesca ed unisce alla ricerca di un rapporto dialettico con il contesto naturale, la massima cura ed attenzione per tutti gli ambienti interni che si caratterizzano per grande raffinatezza ed eleganza.
Anche l’azienda Albertani Corporates s.p.a. ha preso parte a questa grandiosa operazione di ristrutturazione e restyling, realizzando i 128 bungalows in legno negli stabilimenti del villaggio (sull’argomento vedi anche questo post).

Ulteriori fiori all’occhiello del Club Med Cefalù sono la spettacolare spa, che con i suoi oltre 700 mq è in grado di regalare ai suoi ospiti emozioni uniche ed irripetibili, ed il ristorante Palazzo Gourmet Lounge, gestito dallo chef stellato Andrea Berton, che propone esperienze culinarie basate sulla valorizzazione dei prodotti siciliani a km 0.

Per maggiori info, visitate la pagine la pagina Club Med dedicata che trovate a questo link oppure lasciatevi incantare dalla magia di queste immagini.

La stagione estiva si avvicina a grandi passi e i più fortunati stanno già cominciando a fantasticare sulla destinazione delle prossime vacanze e sulle spiagge più cool da visitare. Nel post di oggi vogliamo partire da questo spunto per rispondere ad una domanda che, molto frequentemente, viene rivolta agli operatori, progettisti e produttori, dell’edilizia in legno: la compatibilità del legno con l’ambiente marino.
Questo contesto presenta infatti delle peculiarità, o meglio delle criticità, che lo rendono particolarmente difficile ed ostile da affrontare dal punto di vista della buona resistenza e conservazione dei manufatti edili in quanto il vento, l’umidità e la salsedine sono solo alcuni dei fattori che lo contraddistinguono e che costituiscono, nello stesso tempo degli agenti particolarmente pericolosi e dannosi per tutti i materiali da costruzione.

È così anche per il legno? Il legno è in grado di resistere a questi nemici? È adatto alla realizzazione di edifici ed abitazioni in prossimità del mare?Approfondiamo di seguito l’argomento.

Vento, umidità, salsedine e gli fattori di rischio

L’Italia è un Paese in cui si contano circa 7.500 km di coste, per cui l’ambiente costiero ed il paesaggio marino costituiscono un contesto con cui da sempre, necessariamente, abbiamo dovuto confrontarci. La peculiarità di questo ambiente è che, se da un lato risulta affascinante e suggestivo per gli scenari e le atmosfere che regala, dall’altro si caratterizza per la presenza di alcuni fattori ed agenti di natura climatica che lo rendono particolarmente difficile da affrontare dal punto di vista edilizio. Si tratta, come già anticipato, di elementi come il vento, l’elevato tasso di umidità, la salsedine, le notevoli escursioni termiche, l’esposizione molto prolungata al sole. Questi fattori, oltre ad agire spesso l’uno in contrapposizione all’altro, costituiscono una costante e potente minaccia alla resistenza ed alla buona conservazione di tutti i materiali impiegati per costruire i manufatti edilizi in prossimità del mare.

Gli edifici dovranno quindi essere in grado di resistere alla costante azione del vento e gli ambienti interni protetti dal rischio di infiltrazioni d’aria che potrebbero essere causa, specialmente nel periodo invernale, di dispersioni di calore.
La presenza costante di umidità e, nello stesso tempo, l’esposizione prolungata ai raggi solari rendono necessaria la massima protezione dell’involucro edilizio, sia per evitare, all’interno dell’ambiente domestico, la comparsa di fenomeni quali funghi e muffe, sia per garantire le condizioni di massimo comfort termo – igrometrico.
Le escursioni termiche, spesso molto considerevoli, sia tra giorno e notte sia stagionali, richiedono la progettazione e la realizzazione di tamponamenti esterni in grado di assicurare prestazioni ottimali a qualsiasi condizione e temperatura.
Infine c’è la delicata questione della salsedine, cioè la percentuale salina contenuta nell’acqua e nell’aria di mare, che aggredisce e corrode i materiali provocandone il rapido degrado e deterioramento.

Il legno è la soluzione

È importante sottolineare come tutti i fattori che abbiamo appena citato costituiscono una minaccia ed un pericolo per tutti i materiali da costruzione, anche per quelli tradizionali e che, talvolta, continuano ad essere considerati da molti più resistenti e duraturi del legno, come il cemento armato.
In realtà, al mare o nelle sue vicinanze, la scelta di realizzare una casa prefabbricata in legno porta con sé molti più vantaggi e migliori prestazioni rispetto all’impiego delle tecniche e dei materiali della tradizione.
Infatti, come ben sappiamo, il legno è per sua natura innanzitutto un materiale isolante, traspirante ed igroscopico, caratteristiche in grado di assicurare all’ambiente domestico interno le ottimali condizioni di temperatura, comfort e benessere.
Inoltre, come avevamo evidenziato nel post Climi caldi e climi freddi: una casa in legno per tutte le temperature, le adeguate scelte progettuali (materiali, stratigrafia dei tamponamenti, orientamento ed esposizione, aperture, ecc.) unite all’esecuzione a regola d’arte consentono di rendere una casa prefabbricata in legno in grado di garantire ottime prestazione a qualsiasi condizione climatica.

Per quanto riguarda la protezione della casa dalla presenza dei venti che, solitamente, caratterizzano gli ambienti costieri, è importante ricordare che, quando si realizzano strutture prefabbricate in legno, vengono condotti anche test e verifiche di tenuta all’aria finalizzati appunto al controllo della perfetta sigillatura e dell’isolamento dell’ambiente interno. Questo per evitare che eventuali infiltrazioni (i cosiddetti spifferi!) possano essere causa di dispersioni di calore ed energia e, quindi, abbassare il livello delle prestazioni raggiunte attraverso la scelta di determinati materiali e stratigrafie.

Infine c’è la questione della salsedine, che aggredisce e logora, con il tempo, quasi tutti i materiali: dal cemento armato ai metalli alle tinteggiature. Tuttavia, anche in questo caso, la scelta di una casa prefabbricata in legno costituisce la risposta migliore ai rischi rappresentati da questo agente. La prefabbricazione infatti non pone limiti o vincoli di alcun tipo alle scelte estetiche, materiche ed architettoniche relative alle finiture esterne, le quali possono pertanto essere definite e progettate in modo da garantire la massima resistenza. Quindi l’impiego del legno (e in particolare del lamellare appositamente trattato) da un lato e, dall’altro, di intonaci a base di silicati in grado di agire da schermo all’azione della salsedine, costituiscono la soluzione migliore per la realizzazione di case in questi contesti.