L’architettura per la disabilità. Vivere in città accessibili

Tra il 2030 e il 2050, quasi il 70% della popolazione mondiale – pari ad almeno 5 miliardi di persone – risiederà in città e in territori il cui battito cardiaco rischia di essere scandito dal ritmo dei cambiamenti climatici. La loro crescita e trasformazione è da anni diffusamente monitorata e studiata dalle Nazioni Unite, nella volontà di conseguire gli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda Urbana. Tale metabolismo urbano, pertanto, obbligherà sempre più i governi territoriali e nazionali ad adottare strumenti e tecnologie adeguate per rispondere all’ormai irrinunciabile Diritto alla Città e a garantirlo attraverso l’implementazione di pratiche sostenibili.

L’urbanità, perciò, sarà sempre più una esigenza da soddisfare con metodologie diversificate in base al contesto e integrate da approcci multidisciplinari capaci di decodificare la complessità contemporanea, da un lato sociale-culturale e dall’altro economica-ecologica. L’ormai sregolata e incontrollata diffusione italiana (o sprawl), in un Paese come l’Italia dove è andato in crisi l’istituto della pianificazione ed è assente la cultura della prevenzione, ha avuto tra i principali nefasti effetti quello di vedere intere regioni impermeabilizzate, ora per le infrastrutture ora per gli insediamenti residenziali o industriali, con il consumo di suolo che, nel combinato disposto con il dissesto idrogeologico, sta ridisegnando la geografia del nostro Paese a tutte le latitudini. Alla velocità di 2 mq al secondo, secondo i dati forniti dall’Ispra, con altri 54 km quadrati di territorio coperti artificialmente e persi irrimediabilmente. E trasformato, spesso, in modo tale da non assicurare una piena ed universale fruibilità a tutti i suoi potenziali utilizzatori.

A prescindere dalla sua destinazione d’uso o dalla sua proprietà, quindi, rigenerare il patrimonio esistente, non è oggi indispensabile solo per mere questioni economiche, ma etiche e civiche. I cittadini, infatti, come testimoniano le sempre più numerose e virtuose esperienze di rigenerazione urbana innestate dall’innovazione sociale rivendicano città sempre più belle, inclusive e aperte. Ossia capaci di tenere insieme i paradigmi della qualità estetica e dell’accessibilità (fisica, ma non solo).  

La vera sfida per le città italiane, nel prossimo ventennio, non sarà solo di reinventarsi e rinnovarsi, ma di farlo secondo una visione precisa che restituisca ai cittadini il loro ruolo di co-autori dei processi decisionali superando la asfittica retorica politica odierna che, anzi, corrobora la sfiducia nelle Istituzioni. Per vincere la partita del cambiamento, che oggi stiamo perdendo, occorre, dunque, “rimuovere gli ostacoli” (art. 3 della Costituzione) di qualsiasi ordine: non solo le barriere architettoniche, ma tutte le infrastrutture antropologiche pregiudizievoli limitanti la mobilità nello spazio pubblico e la sua fruibilità. La vivibilità delle città sarà sempre più misurata dalla sua accessibilità. Per dare dignità ulteriore a chi è in una condizione di disabilità.

Per questo e sin dal 2016, l’Istituto Nazionale di Urbanistica (Inu), nell’ambito del suo “Progetto Paese”, ha promosso la costituzione di specifiche communities: tra queste, particolarmente proattiva è quella che si occupa di qualificare i tessuti urbani anche per chi vive una qualsivoglia forma di disabilità e dall’impegno profuso nell’ultimo biennio è nata la pubblicazione “Verso città accessibili”, con l’obiettivo di diffondere le buone pratiche realizzate sul territorio nazionale.

Nel piccolo comune umbro di Spello, dopo il terremoto del ’97 e in conformità con gli strumenti urbanistici vigenti (anche di nuova formazione), l’Amministrazione Comunale nella volontà di recuperare il prezioso e densificato centro storico, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie, ha agito per rendere, per residenti e city user, il territorio urbano accessibile, accogliente e attrattivo. Oltre alla demolizione delle barriere architettoniche, si è lavorato sul patrimonio culturale e artistico esistente perché il suo linguaggio diventasse comprensibile per tutti.

A Cecina, invece, l’intervento di rigenerazione urbana ha coinvolto un quartiere semi-periferico in cui sussistono edifici scolastici, una biblioteca e un teatro, impianti sportivi e centri sociali. Il Comune, mediante una progettazione integrata, ha rimosso tutte le barriere architettoniche, ha rinaturalizzato l’area, l’ha dotata di un sistema di illuminazione smart per regolarne l’intensità in base ai suoi usi pubblici, ha consentito la sua piena fruibilità ai diversamente abili consentendo una crescita evidente e diffusa della qualità della vita.

In Puglia, infine, notevole il lavoro condotto dal laboratorio “ArchiEtica” nelle province di Bari e della Bat o quello dell’associazione “LeZzanZare” nel capoluogo sulla psico-geografia urbana invitando architetti e amministratori normodotati ad usare per alcune ore sedie a rotelle e cani-guida per diagnosticare la difficoltà quotidiana negli spostamenti dei diversamente abili ed elaborare consapevolmente una mappa di tutti gli ostacoli presenti nelle città per progettarne progressivamente la rimozione. Per l’estate appena superata, per esempio, è stata realizzata una passerella, tecnologicamente supportata, per consentire in sicurezza l’entrata in acqua di chi vi arriva con la carrozzella.