Nonostante sia ancora flebile il “suono” della ripresa economica, alcuni indicatori rivelerebbero una nuova predisposizione degli italiani a investire nel mercato delle abitazioni. A differenza del passato, però, emergerebbe una doppia tendenza, di stampo ecologico: o nuove abitazioni realizzate con materiali eco-compatibili o vecchie abitazioni riqualificate secondo i criteri della cosiddetta bio-architettura.

Nella consapevolezza, sempre più diffusa, che il processo edilizio è responsabile di almeno il 35% di emissioni di CO2 e che, quindi, occorra necessariamente una rivisitazione degli attuali dettami per una edilizia più efficiente e più “ambientalmente” sostenibile, il legno sta sempre più assumendo il ruolo di protagonista tra gli elementi costruttivi sin dalla fase di progettazione. È  infatti già nella fase preliminare che possono essere individuate le migliori soluzioni finalizzate alla realizzazione dell’architettura più funzionale alle esigenze del cliente.

Inoltre, per ottenere il risultato più performante, sia dal punto di vista tecnico-funzionale, che da quello economico (soprattutto per quanto riguarda la gestione dell’involucro edilizio), si stanno affermando, seppur gradualmente, le soluzioni prefabbricate, capaci di coniugare qualità progettuale e  innovazione ambientale.

Una soluzione prefabbricata in legno, infatti, non consente solo di avere abitazioni nelle quali sia il raffrescamento estivo sia il riscaldamento invernale non rappresentano per l’utente una criticità, attraverso l’adozione di un sistema integrato di tecnologie; ma anche di prevedere, con una certa accuratezza, i tempi di consegna dell’immobile, che sarà realizzato molto più rapidamente rispetto ad una costruzione tradizionale in muratura o in cemento.

Una casa prefabbricata in legno, pertanto, con questo materiale ormai sempre più certificato perché proveniente da foreste nelle quali ad ogni albero tagliato corrisponde un nuovo albero piantato, è anche una casa “amica dell’ambiente” perché riduce, di quasi l’80%, le emissioni in atmosfera, se progettata e realizzata a regola d’arte. Questa percentuale può raggiungere quasi il 100% se prevede il rispetto del protocollo “Passivhaus” (Casa Passiva) per il quale, anche e soprattutto con fonti rinnovabili, si produce più energia di quanta ne è necessaria per il suo funzionamento e applicando, in tal modo, anche la normativa europea che impone per l’edilizia pubblica e privata, entro il 2020, la conversione ecologica-energetica dell’intero patrimonio edilizio esistente. In questo risoluto scenario, si inserisce, con tutto il suo notevole know-how progettuale e professionale, l’azienda Albertani Corporates.

Non poche, del resto, le costruzioni progettate e realizzate nell’ultimo decennio, con la visione sia di soddisfare i suoi clienti con architetture eco-compatibili dalla grande vivibilità, sia di rispettare l’ambiente nel quale siamo tutti corresponsabilmente chiamati ad agire. E tra i modelli che possono essere citati a modello individuiamo “Casa Stoppada”.

Casa Stoppada. È questa una residenza privata realizzata nel Parco Naturale del Campo dei Fiori a Varese. La sua ubicazione ne ha fortemente ispirato e condizionato, per i vincoli paesaggistici presenti, la progettazione e la realizzazione, non inficiandone la qualità che, anzi, è stata sottolineata attraverso le diverse soluzioni previste. Di forma semplice e compatta, con copertura a capanna in una rievocazione delle vecchie cascine rurali, questa architettura prefabbricata in legno dispone di alte ed ampie aperture verticali che garantiscono un’ottima illuminazione naturale.

Il rischio di avere una abitazione particolarmente predisposta al suo surriscaldamento, conseguentemente, è stato eliminato dall’adozione di un sistema oscurante con lamelle in alluminio totalmente a scomparsa. È stato studiato, inoltre, l’orientamento per favorire la ventilazione naturale degli ambienti e, rispetto ad esso, la parete esposta a sud-ovest è stata progettata e realizzata con un sistema di ventilazione ad effetto camino.

All’interno, invece, riprendendo lo schema materico assunto per le pareti esterne di tompagno, sono stati applicati pavimenti in larice oliato capaci di trasferire una percezione di sicurezza e di accoglienza per una abitazione assolutamente vivibile e comfortevole. La scala, che conduce al piano superiore, è realizzata, infine, in cemento armato con pedate rivestite in pietra, con il materiale recuperato dalle vicine valli ossolane.

Giuseppe Milano
 

Siamo al Lago d’Iseo, siamo in Lombardia, terra d’imprenditorialità, di iniziativa privata. Un territorio in cui da sempre l’impresa è al centro dell’economia, un territorio in cui ha sede anche Albertani Corporates con i suoi stabilimenti di Edolo.

È in questa realtà che il land artist Christo Vladimorov Yavachev, in arte Christo, ha scelto di realizzare la sua installazione temporanea, finanziata in gran parte da enti privati.

Camminare sull’acqua. Un’immagine evocativa che da sempre rimanda inequivocabilmente a una delle tante esperienze di Gesù. Da oggi, senza essere blasfemi o creare improbabili analogie, è possibile, tuttavia, contemplare un’immagine altrettanto suggestiva: la passerella o pontile galleggiante “The Floating Piers” realizzata, appunto, da Cristo. L’installazione temporanea, inaugurata lo scorso 18 giugno e disponibile fino al prossimo 3 luglio, già visitata da centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, è stata realizzata sul lago di Iseo.

La passerella – costituita da 200mila cubi di polietilene e ricoperta da un tappeto giallo dalia – è larga 16 metri, lunga oltre 3 km e alta circa 50 centimetri nella parte centrale. E, dando appunto ai fruitori la sensazione di camminare sull’acqua, congiunge il paese di Sulzano con l’isola di Montisola e questa con l’isolotto privato di San Paolo. L’artista americano, di origini bulgare, è tra i massimi esperti al mondo di land art, ossia di quella tecnica volta a tutelare e a valorizzare i beni architettonici o paesaggistici attraverso progetti artistici altamente celebrativi della loro unicità. Soprannominato “l’impacchettatore”, negli anni ha lavorato sul Reichstag di Berlino (tale performance è stata visitata nel 1995 da quasi nove milioni di persone) o su Porta Pinciana a Roma. Sebbene sia stata realizzata solo nel 2016, dopo quasi 6 mesi di lavori sull’area scelta, il progetto dell’installazione di “The Floating Piers” è nato nel 1970 da Christo e dall’amica-collega Jeanne-Claude, ma mai prima d’oggi è stato realizzato, nonostante alcuni tentativi siano stati fatti prima in Argentina e poi in Giappone.

Con il Lago d’Iseo e il suo paesaggio, invece, è stato amore a prima vista. Sin dai primi sopralluoghi tecnici compiuti nel settembre del 2014, infatti, l’artista si è convinto che quel contesto naturale potesse ospitare la sua opera culturale. Con i favori e la disponibilità delle amministrazioni locali che in questa operazione vi hanno visto anche l’occasione per promuovere turisticamente i loro borghi, è nata una profonda empatia tra le comunità e Christo, che ha voluto incontrare più volte di persona i residenti per illustrare dettagliatamente le finalità artistiche dell’iniziativa e decidendo, contestualmente, di finanziare autonomamente l’installazione con una spesa di oltre 10 milioni di euro.

Iniziative private che portano un valore enorme al territorio e alla sua valorizzazione, tanto più quando, come in questo caso, mirano all’esaltazione naturalistica e paesaggistica dello stesso. Valori che costituiscono anche la missione di Albertani Corporates. Proprio nella provincia di Bergamo e di Brescia, infatti, sono presenti anche diverse costruzioni realizzate da Albertani Corporates che, coniugando sempre tradizione ed innovazione da un lato, e la qualità progettuale con la sostenibilità dall’altro, rappresentano delle eccellenze nel campo dell’architettura ecologica che proattivamente, come tessere di un mosaico, si inseriscono in uno scenario paesaggistico pregevole che andrà sempre più esplorato e valorizzato.

Giuseppe Milano

L’architettura delle chiese solitamente richiama ai nostri occhi le immagini dei grandiosi e monumentali edifici in pietra che, a partire dal Medioevo, hanno cominciato ad abbellire le città europee ed a diventarne centri politici, economici e culturali. In proporzione alla quantità di potere che una chiesa e la comunità ad essa riferita detenevano, crescevano anche le dimensioni dell’edificio, la preziosità dei materiali impiegati, la fama degli artisti e delle maestranze chiamate a partecipare al cantiere.

Ci sono tuttavia alcune aree dell’Europa che ospitano chiese “diverse” e la cui architettura si discosta dall’immagine tradizionale che noi ne abbiamo: si tratta delle chiese in legno che caratterizzano il paesaggio dell’entroterra norvegese e della regione dei Carpazi (soprattutto nel Sud della Polonia e in Slovacchia). Le prime sono dette stavkirke ed hanno fatto la loro comparsa a partire dal periodo intorno all’anno 1000 d.C. circa: delle oltre mille che sono state documentate nel corso della storia, sono solo 28 quelle giunte intatte fino a noi. Si caratterizzano per un’accentuata spinta verticale, derivante dall’impiego di strutture basate su sistemi di pali portanti (detti “stav”) posti agli angoli della pianta e rinforzati da zoccoli in pietra. Si caratterizzano inoltre per la presenza di gallerie esterne e di elementi decorativi in legno. Molto probabilmente si tratta di architetture di origine pagana, successivamente convertite in chiese cristiane, come testimoniato dalle cornici e dagli intarsi con motivi di matrice vichinga, runica e mitologica.

La stavkirke più antica, la Urnes stavkirke, si trova a Luster ed è stata classificata anche come uno dei siti UNESCO Patrimonio dell’Umanità; quella più grande è invece situata a Notodden ed è nota come Heddal stavkirke.

Anche l’Europa Orientale, soprattutto nelle regioni della Polonia meridionale e della Slovacchia, ospita numerose testimonianze di chiese in legno adibite al culto cristiano, protestante e greco-ortodosso. Si tratta di architetture che riflettono fortemente l’influenza della tradizione romana e di quella bizantina e che esprimono, nello stesso tempo un legame molto forte con il territorio che le ospita. Sono realizzate con il legno locale dei monti Carpazi, abete, pino e larice soprattutto, secondo la tecnica, cosiddetta, horizontal log technique o con sistemi a travi intrecciate. Anche in questo caso sono numerose quelle incluse tra i siti UNESCO Patrimonio dell’Umanità.

Ma cosa succede nelle città contemporanee? Quali possibilità ed opportunità offre, alla tipologia architettonica dell’edificio chiesa, l’impiego del legno e, soprattutto, del legno lamellare?

I vantaggi che questo materiale porta con sè sono numerosi, sia sotto il profilo estetico – architettonico che per le prestazioni: alla bellezza del materiale si accompagnano infatti le ottime qualità di isolamento termico ed acustico e di resistenza anti-sismica ed anti-incendio, gli aspetti della sostenibilità e della riciclabilità, e, non meno importanti, le potenzialità dal punto di vista strutturale.

Gli esempi di edifici destinati al culto realizzati impiegando il legno lamellare, sono innumerevoli e non solo all’estero: alcune di tali essi hanno visto la partecipazione, in fase costruttiva, anche dell’azienda Albertani. Tra queste vi sono il complesso religioso di Santa Maria Theotokos, nel comune di Incisa in Valdarno, a circa 20 km da Firenze, nella Diocesi di Fiesole, e la chiesa di San Bartolomeo ad Almenno, in provincia di Bergamo. Il primo risulta caratterizzato da un impianto di forma triangolare, che richiama il concetto della Trinità, e su cui si innesta una copertura a vela con struttura in legno lamellare rivestita all’esterno da un manto in rame. Presenta una doppia curvatura e, protendendosi verso l’alto, simboleggia l’idea della divinità che dal cielo scende fino in terra per essere vicina alle sue creature. Il secondo colpisce invece per una copertura costituita da travi in legno lamellare perfettamente orizzontali e raccordate da grandi vetrate trasparenti: queste ultime rendono la luce protagonista dell’architettura, oltre che guida e strumento di elevazione per i fedeli. L’ingresso è preceduto da un ampio portico a forma di “T” con struttura a capanna, anch’essa in legno lamellare ed anch’essa protetta da ampie vetrate: questo spazio definisce una sorta di sagrato coperto in cui esterno ed interno si incontrano.

In tali contesti, quindi, l’impiego del legno lamellare, da un lato consente di realizzare strutture ed architetture in grado di superare le normali prestazioni consentite dalle “tecniche tradizionali”, e dall’altro ben si adatta alle esigenze espressive e comunicative che richiedono gli edifici destinati a diventare luoghi di culto.

Elena Ottavi

L’impiego del legno ha accompagnato la storia dell’uomo e della sua evoluzione fin dalle origini: da sempre, infatti, questo materiale, è stato apprezzato per la possibilità di essere reperito in maniera relativamente semplice, perchè si tratta di una risorsa rinnovabile e per la sua versatilità. Esso, infatti, ben si presta ad essere utilizzato per soddisfare esigenze e necessità numerose e differenti: in ambito edilizio come materiale da costruzione o complemento alle operazioni di cantiere, per la realizzazione di strumenti in genere, utensili, elementi di arredo, design e decorativi, per il riscaldamento, ecc.

Al giorno d’oggi, in un’epoca in cui, fortunatamente, crescono l’attenzione, l’interesse e la cura nei confronti delle tematiche della tutela e della sostenibilità ambientali, tale carattere si lega con quello della riciclabilità, altro grande vantaggio che l’impiego del legno porta con sè. Questo materiale, infatti, in quanto naturale, offre la possibilità sia di essere riciclato, sia di essere riutilizzato per scopi differenti in fasi successive. Tale aspetto non presuppone necessariamente il raggiungimento del termine del ciclo di vita di un prodotto o di un’architettura o di altre realizzazioni in legno, ma, al contrario, nel momento in cui viene meno la ragione d’essere dell’oggetto in questione, vi è la possibilità di recuperarne e reimpiegarne in maniera alternativa il materiale.

Questo rappresenta un aspetto (ed un vantaggio) fondamentale nell’ambito dell’architettura e dell’edilizia contemporanee. Molto spesso, infatti, alcune esigenze inaspettate o variazioni nella destinazione e nell’impiego di una struttura, fanno emergere la necessità di rimuovere, sostituire o modificare tutto o parti di essa. Nel caso di tecniche costruttive più tradizionali, come il cemento armato o il latero-cemento, questo potrebbe costituire un problema, o meglio, implicare l’obbligo di lavori di una certa invasività e, nello stesso tempo, escludere quasi in toto, qualsiasi pretesa di riutilizzo dei materiali. Lo stesso non vale per il legno, riciclabile e riutilizzabile per definizione e che consente intervcenti anche in contesti delicati e problematici. Basti pensare all’installazione della passerella in legno che l’azienda Albertani ha realizzato all’interno del Colosseo: si tratta di una struttura fissa ma, all’occorrenza, interamente rimovibile e che, come espressamente e fortemente richiesto dalla committenza, non ha prodotto modifiche permanenti all’anfiteatro romano simbolo di Roma e, probabilmente, dell’Italia nel mondo. Nel caso vengano meno le premesse che hanno condotto alla realizzazione di tale manufatto o nell’eventualità di conflitti con eventuali esigenze di restauro e manutenzione del monumento, la passerella potrà essere smantellata senza lasciare traccia, ed il legno che la compone sarà recuperato per essere destinato a nuovi utilizzi.

Esempi recenti di riuso e recupero del legno sono anche quelli dei Padiglioni realizzati per Milano Expo 2015, manifestazione in cui questo materiale è stato grande protagonista anche grazie alle direttive ed alle linee-guida (“Sustainable Solutions Guidelines. Design, construction, dismantling, reuse”) fissate dall’organizzazione: condizione imprescindibile per la partecipazione era infatti quella di proporre “sustainable solutions”, cioè progetti basati sui principi fondamentali di sostenibilità, riciclabilità e riuso. Per questo i padiglioni realizzati in legno sono stati numerosi: Giappone, Spagna, Estonia, Cile, Irlanda del Nord, sono solo i più famosi di una lunga serie. Gli ultimi due, in particolare, hanno visto impegnati nella realizzazione i tecnici dell’azienda Albertani, che, fin dalle primissime fasi, aveva garantito che tutte le strutture in legno che avrebbe fornito, sarebbero state smantellabili, trasportabili e riutilizzabili alla conclusione dell’esposizione. Il caso che oggi è, più di altri, agli onori delle cronache è quello del Padiglione dell’Irlanda del Nord, un volume parallelepipedo rivestito da listelli in legno grezzo, con una parete curva e suddiviso su tre livelli di cui l’ultimo con terrazza a tetto. Dopo la chiusura dei lavori di Expo, il legno impiegato per la sua realizzazione è stato recuperato e reimpiegato per l’allestimento del Padiglione Italia alla Biennale di Architettura di Venezia 2016, inaugurata lo scorso 27 Maggio.

Sono pertanto innegabili i vantaggi e le opportunità che la versatilità del di questo materiale offre, sia nella realizzazione di installazioni e strutture di carattere temporaneo, sia per opere ed architetture permanenti. La scelta del legno gli garantisce infatti la possibilità di adattarsi e di subire, in maniera abbastanza semplice, modifiche in funzione di variazioni nelle necessità di utilizzo, di venire smontate per trasformarsi, una volta rimontate, in qualcosa di nuovo e differente, oppure per fornire materiale da destinare al riutilizzo.

Elena Ottavi

La 15esima Mostra Internazionale di Architettura, curata da Alejandro Aravena e inaugurata lo scorso 28 maggio, continua a raccogliere opinioni positive per la sua scelta di indagare ed affrontare, limpidamente e organicamente, le criticità delle città contemporanee – si pensi alla necessità che diventino resilienti per gli effetti indotti dai cambiamenti climatici – per proporre soluzioni socio-ambientalmente sostenibili. E, in particolare, in queste prime giornate di Biennale sta venendo particolarmente apprezzato il Padiglione Italia – curato dal team di TAMassociati e realizzato negli allestimenti da Albertani – che “coglie, per il presidente del Cnappc (Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) Giuseppe Cappochin, il vero significato della Rigenerazione Urbana Sostenibile (Riuso) e rappresenta una visione dell’architettura tesa non solo a migliorare le periferie e l’ambiente edificato, ma che si prende cura delle persone e delle comunità, incidendo sulla marginalità sociale e promuovendo l’innovazione culturale”. Per conoscere meglio, pertanto, la visione dell’azienda che ha realizzato elegantemente il padiglione nazionale, abbiamo rivolto alcune domande all’Ad Ilario Albertani, che ringraziamo per la disponibilità.

Come nasce la vostra partecipazione alla 15. Mostra Internazionale d’Architettura? Come avete declinato il tema “Reporting from the front” nel Padiglione Italia?

Albertani Corporates ha da sempre uno strettissimo legame con l’architettura, anche con la più ardita e creativa. Questo legame e la recente partecipazione a Expo 2015 – in qualità di costruttori di alcuni dei padiglioni espositivi, fra cui quello dell’Irlanda – hanno fatto nascere la riflessione sulla “fine” dei materiali utilizzati per l’esposizione universale. Ne è derivata, conseguentemente, la dimostrazione della citata e desiderata rinnovabilità del legno come materiale da costruzione. Oggi, perciò, si aprono nuovi scenari per le realizzazioni di “frontiera”.

Per realizzarne l’allestimento avete riutilizzato i pannelli CLT usati al Padiglione Irlanda ad Expo 2015. Quanto è importante “riusare” oggi l’architettura, anche in chiave temporanea dandole una valenza sociale? 

L’adozione del “riuso”, come approccio operativo, ritengo sia propedeutico ad una forma mentale più evoluta nel settore delle costruzioni, sia residenziali sia di altra natura. Nei moderni complessi urbani così come in aree di nuova urbanizzazione, il rispetto dell’ambiente e il razionale utilizzo del suolo o degli spazi devono essere concepiti pensando anche alla seconda vita dei manufatti che si vanno a costruire. Senza con ciò subordinare l’economia degli interventi.

Come credete, sulla base della vostra decennale esperienza e competenza apprezzate anche all’estero, che si stia evolvendo l’architettura e, quindi, la possibilità di utilizzare materiali sostenibili e versatili come il legno?

La costruzione in legno lamellare e quella con pannelli CLT Xilam ha dei vantaggi pratici ben noti se paragonati con quelli degli altri materiali. L’evoluzione tecnologica e il progresso funzionale, pertanto, favoriranno secondo me un aumento del suo impiego. In ambito residenziale, soprattutto, ma anche su interventi complessi e dalle dimensioni notevoli. Con l’effetto di avere nelle nostre città, in tempi e con costi minori rispetto alle realizzazioni tradizionali, edifici in legno non solo dall’alta qualità strutturale, ma anche per quella abitativa percepita.

Perché in Italia sembra sia culturalmente difficile anche per i tecnici progettare e realizzare architetture in legno?

La cultura del costruire in legno in Italia sta crescendo e ci sono tantissimi bravi tecnici esperti in materia. L’aspetto sul quale dobbiamo lavorare è certamente il concepimento dell’edificio in legno per il nostro clima, ben diverso da quello rigidissimo del nord Europa. Per chi vive in climi freddi, infatti, l’aspetto fondamentale è disporre di una casa comfortevole e per la cui gestione i costi siano sostenibili. Ben diverso, e decisamente più complesso, è, invece, proteggersi dalle alte temperature estive, in climi per esempio mediterranei, rispetto alle quali vanno ideate e realizzate opportune soluzioni. Ed oggi siamo in grado di dare le migliori risposte a tutte le esigenze dei cittadini per alte condizioni di vivibilità, nel rispetto di tutti i parametri di sostenibilità ambientale.

Giuseppe Milano

Raccogliere la sfida della complessità contemporanea sciogliendo il nodo della marginalità spaziale per una nuova riconfigurazione sociale delle città. Con “l’architettura che ha fatto, fa e farà la differenza”. E’ questa la missione della 15esima Mostra Internazionale di Architettura, curata dal Pritzker Architecture Prize 2016 Alejandro Aravena e inaugurata nello scorso fine settimana dal Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. La nuova edizione della Biennale, “Reporting from the front” (Indagine dal fronte, ossia dalle “periferie del mondo”), con 88 partecipanti provenienti da 37 Paesi, si propone di “ascoltare coloro che sono stati capaci di una prospettiva più ampia e di conseguenza sono in grado di condividere conoscenza ed esperienze, inventiva e pertinenza con chi tra noi rimane con i piedi appoggiati al suolo”, conferendo al suolo lo status di bene comune da non consumare inutilmente e da preservare nella visione sia di salvaguardare il pianeta che ci accoglie sia di impiegare responsabilmente le sempre più limitate risorse naturali. Ne consegue, pertanto, sempre secondo la lettura di Aravena, “che migliorare la qualità dell’ambiente edificato è una sfida che va combattuta su molti fronti, dal garantire standard di vita pratici e concreti all’interpretare e realizzare desideri umani, dal rispettare il singolo individuo al prendersi cura del bene comune, dall’accogliere lo svolgimento delle attività quotidiane al favorire l’espansione delle frontiere della civilizzazione”. Se mette al centro il diritto alla vita e alla città di ogni singolo cittadino, rivoluzionando e stravolgendo il paradigma architettonico ancora vigente e diffuso arbitrariamente da molte archistar basato più sull’estetica che sull’etica, l’architettura diventa “sociale”. Ed è tale “quando non ignora gli ideali e cresce nel confronto continuo con altre pratiche, in un processo di “costruzione di senso” volto a definire categorie comuni quali appartenenza, identità, condivisione, conoscenza”.

Lungo questo binario corre veloce il treno dell’Architettura che caratterizza il Padiglione Italia, nel quale il tratto “sociale” si fonde e si confonde con quello “solidale”. A cominciare dal nome dell’esposizione: “Taking Care – Progettare per il bene comune”. Per questa edizione della Biennale, l’installazione del Padiglione Italia, ospitato come sempre all’Arsenale, è stata realizzata, con cura e raffinatezza progettuale, da Albertani che, coerentemente alle indicazioni “sostenibili” del curatore Aravane, ha impiegato il legno utilizzato per il Padiglione dell’Irlanda ad Expo 2015. Una scelta mirabile, già molto apprezzata dal primo flusso di visitatori della Mostra Internazionale, che aderisce, inoltre, perfettamente, alla visione degli architetti estensori di “Taking Care”. L’esposizione, ispirata dall’idea che l’architettura debba essere al servizio della collettività e dei luoghi della comunità, si sviluppa in tre sezioni: “Pensare”, “Incontrare”, “Agire”.

“Pensare” è una ricognizione del tema del bene comune, sul suo valore e sul rapporto che intesse con lo spazio costruito: un percorso arricchito dal contributo offerto da personalità di diversa provenienza culturale e professionale, per spingere lo sguardo oltre le definizioni correnti. “Incontrare” è una rassegna di 20 progetti di architettura, tutti realizzati da altrettanti studi italiani, in Italia e all’estero. Nell’insieme, essi raccontano di come i soggetti, quando co-autori, possano creare spazi e luoghi utili alla collettività, dando così pari rilievo sia ai processi che all’opera edificata. “Agire”, culmine della mostra, si traduce in un concreto invito all’azione. “Agire” ospita, infatti, gli alias di 5 dispositivi mobili pensati per un intervento diretto in aree di marginalità del nostro Paese.

La periferia, in fondo, come ampiamente testimoniato recentemente anche dalle iniziative di “rammendo” di Renzo Piano, non è soltanto uno spazio fisico: è anche uno spazio mentale e cioè quel luogo di marginalità culturale in cui si è venuta a trovare l’idea stessa dell’abitare. L’architettura potrà continuare ad agire come strumento di contrasto solo se sarà in grado di confrontarsi con questa marginalità.

I 5 moduli carrabili sono stati progettati da 5 studi italiani in collaborazione con 5 associazioni da sempre impegnate in programmi di contrasto al degrado sociale ed ambientale: AIB (Associazione Italiana Biblioteche), Emergency, Legambiente, Libera, UISP (Unione Italiana Sport per Tutti). La democraticità e la spontanea originalità di questa architettura sociale-solidale è testimoniata, inoltre, anche dalla campagna di crowdfunding avviata proprio nell’intenzione di realizzare questi dispositivi mobili e farli diventare, una volta messi su strada, strumenti concreti di tutela e riscatto sociale.

I progettisti dello studio TAMassociati che hanno curato l’allestimento, concludendo, hanno spiegato così le loro scelte: “abbiamo voluto realizzare nella cornice della Biennale una prova tangibile di come l’architettura, con il suo specifico sapere, possa contribuire a diffondere e rendere efficaci i principi di socialità, partecipazione, salute, integrazione, legalità. In qualsiasi luogo e a qualsiasi scala. Con tali principi l’architettura di questo millennio si dovrà sempre più confrontare, per dare una risposta alle sfide che la città e l’ambiente presenteranno non solo agli architetti, ma a tutti i più responsabili “progettisti” del prossimo futuro”.

Giuseppe Milano

I musei e gli spazi espositivi nel nostro Paese, per la straordinaria ricchezza e bellezza del nostro patrimonio culturale, dovrebbero essere tra i luoghi più tutelati e valorizzati; luoghi nei quali si dovrebbero esaltare i risultati delle ricerche e delle sperimentazioni archeologiche-storiche-artistiche-fisiche. Per rendere l’esperienza del visitatore fortemente suggestiva ed intimamente emotiva. Almeno in Italia, questo non succede sempre e non accade ovunque, con il risultato che “valorizzazione” e “conservazione” sono assunti, quasi, a sinonimi; a differenza, invece, di quel che accade nel resto del mondo dove, già da un decennio, i musei praticano la “valorizzazione” dei beni culturali declinando i paradigmi dell’innovazione. Agendo, contestualmente, non solo sui contenuti, ma, spesso, anche sul contenitore che, per le sue sagome sinuose o per l’alta tecnologia con la quale è realizzato, diventa esso stesso un bene museale fortemente attrattivo. Con un’identità tanto più riconoscibile quanto più sarà capace di relazionarsi empaticamente con la città e armoniosamente con il paesaggio. E il dialogo con la natura, per questi poli della conoscenza che puntano a rinvigorire la bellezza della cultura, è vitale. All’alba del terzo millennio, infatti, i musei, sia quelli di nuova edificazione sia quelli sottoposti a ristrutturazione, sono “green”: sono impiegati – tanto per le coperture quanto all’interno delle strutture – sia materiali naturali e sostenibili come il legno o il bambù, sia accorgimenti impiantistici ad alta efficienza energetica, sia soluzioni infrastrutturali innovative. Vediamo alcuni esempi.

Francia. Completato nel 2010, il nuovo Centre Pompidou a Metz, progettato dall’architetto Shigeru Ban (Pritzker Prize 2014), si propone di mostrare al pubblico opere di grandi dimensioni non accessibili nell’omonimo museo di Parigi a causa dell’altezza di 5,50 metri sotto le travi. La struttura di Ban, raggiungendo un’altezza del soffitto di 18 metri, presenta tre gallerie principali tra loro interconnesse funzionalmente e verticalmente, poste attorno ad una torre dal telaio in acciaio esagonale che contiene le scale e gli ascensori. Ogni spazio espositivo del Centre Pompidou di Metz è chiuso trasversalmente da grandi vetrate che, oltre al beneficio di una notevole illuminazione naturale, consentono la visione dei principali monumenti cittadini e, idealmente, favoriscono una fusione tra il museo e la città stessa. È la copertura, tuttavia, una delle principali peculiarità di quest’architettura. Ispirata dalla trama di un cappello di tessuto tradizionale cinese, Shigeru Ban ha realizzato una struttura a griglia con legno lamellare, facilmente piegabile nelle due direzioni, in grado di sormontare tutti i volumi sottostanti. Con l’aneddoto che tale “guscio” ha una forma esagonale per omaggiare i francesi che rappresentano il loro Paese con questo elemento geometrico.

America. Dall’estate del 2014, è attivo in Colorado l’Aspen Art Museum (AAM). Anche questo intervento, finalizzato a promuovere e a divulgare le più innovative tendenze dell’arte contemporanea, è stato progettato da Shigeru Ban. L’architetto giapponese ha disegnato un volume semplice nella geometria, ma articolato nel concept: il museo – che ospita un’area reception, due gallerie espositive, spazi per attività educative e uno studio per gli artisti – prevede, infatti, la combinazione di alcuni elementi fondamentali e, nello specifico la sovrapposizione accurata di layers verticali con differenti gradi di trasparenza, che ruotano intorno alla relazione fra spazio interno ed esterno. L’ampia scala e il suggestivo ascensore panoramico, ovvero i punti di connessione fra i diversi piani del museo, sono anche gli spazi in cui si intensifica l’interazione visiva tra i layers verticali. La struttura in legno della copertura, con la sua morfologia complessa, crea una sorta di filtro attraverso cui penetra la luce naturale. Il prospetto, infine, a conferma della qualità progettuale raggiunta, è realizzato da un materiale composito, il prodex, costituito da speciali fogli di carta e resina racchiusi tra due strati esterni di legno naturale.

Norvegia. Completato nel 2011 nella cittadina norvegese di Hjerkinn, ai bordi del Dovrefjell National Park e su progetto dello studio Snøhetta, il Norwegian Wild Reindeer Centre Pavilion è un padiglione di circa 75 metri quadrati arroccato su un altopiano a 1200 metri d’altezza – in un’area particolarmente rinomata per la presenza di rare specie di piante ed animali – che offre ai visitatori delle sensazionali viste panoramiche. Il nucleo centrale dell’edificio in legno è la chiave dell’intero progetto: in facciata è considerabile principalmente come un elemento scultoreo di forte richiamo al paesaggio circostante, negli interni si pone come un vero e proprio elemento d’arredo completamente utilizzabile come seduta.

Perù. Il Museo della Memoria di Lima (Lum), esito di un concorso nazionale del 2010, si propone come strumento per esercitare proattivamente la memoria, ricordando il periodo della guerra civile che ha insanguinato il Paese dal 1980 al 2000 nella speranza che non accadano più simili orrori. Il LUM, situato in un lotto al centro della baia costiera contraddistinta da una serie di faraglioni che disegnano un balcone naturale, assume le sembianze di uno scoglio artificiale in cemento armato a vista che conclude il ritmo di quelli naturali. Il museo è costituito da un grande basamento che ospita i parcheggi e, al livello superiore, l’auditorium, la cui copertura diventa una grande piazza pubblica affacciata sull’oceano. La piazza, detta “spianata della riconciliazione”, è luogo d’incontro dei visitatori e, per i parenti delle vittime, luogo di commemorazione. Le prime sale al livello della piazza ci parlano delle origini della violenza e del conflitto armato, con pannelli lignei dipinti disposti a zig-zag o appesi ai muri mediante sottili profili di acciaio verniciati di nero. Il percorso prosegue lungo la rampa al primo piano in cui le diverse sale fanno parte di un unico spazio continuo. Le sale del primo piano ci spiegano, mediante pareti sospese in legno impiallacciato e vetrine inclinate, come venne vissuto il conflitto armato a Lima e la sua influenza sulla vita della gente. Il sistema di sale terrazzate si conclude in una grande aula con panche in legno semicircolari: il luogo dell’incontro e dell’ascolto reciproco. Il LUM vuole essere un luogo di pace, incontro e riconciliazione in cui possano rimarginarsi le ferite che nel recente passato hanno diviso il Paese.

Giuseppe Milano

Da diversi decenni, nel nostro Paese, a differenza di quel che accade in Europa e nel resto del mondo, imperversa il luogo comune secondo cui le costruzioni in legno non sarebbero sicure, soprattutto in caso di incendio, e ancor più se confrontate con quelle in acciaio o calcestruzzo armato.

Ma è veramente così? No. Non è così. E non può essere così perché la causa principale di un incendio non è mai la struttura, ma gli elettrodomestici o i tendaggi e le stoffe in genere. Per rispondere correttamente a questa domanda, infatti, basterebbe conoscere le proprietà fisiche-meccaniche del legno, materiale naturale per definizione che, anzi, affascina profondamente per la sua versatilità, la sua duttilità, la sua ecologicità. E basterebbe, poi, con un ideale giro del mondo, visitare i Paesi della Scandinavia o alcuni Stati americani che, da decenni, realizzano le loro abitazioni in legno.

Il segreto di questo materiale, quindi, sia nella versione massello sia lamellare, risiede nel fenomeno della carbonatazione per il quale solo quando la temperatura di combustione supera i 240°C inizia un processo di carbonizzazione dello strato più esterno che protegge quello più interno con la sezione resistente che non si riduce se non in tempi lunghi. Con questo comportamento che, quindi, deriva dalle caratteristiche fisiche-meccaniche del materiale: in particolare, la ridotta dilatazione termica, per cui gli elementi strutturali lignei si deformano molto poco; e la bassa conducibilità termica, per cui il legno protegge i connettori metallici e gli impianti inseriti nelle murature lignee. Specificatamente, nel caso di un’essenza molto diffusa come l’abete, la velocità di penetrazione della carbonatazione è di 0,7 mm/min per legno lamellare e 0,9 mm/min per il legno massello.

Tale esempio, dunque, contribuisce a fotografare nitidamente la realtà: il collasso delle strutture in legno per incendi è una probabilità remota, potendo avvenire solo per la progressiva riduzione della sezione, dall’esterno verso l’interno e in tempi decisamente lunghi, e non per il decadimento delle caratteristiche meccaniche o per i cedimenti vincolari dovuti alla deformazione delle strutture come avviene per l’acciaio e il calcestruzzo. Sulla base del Decreto del Ministero dell’Interno del 9/3/2007, nel quale vengono definite sia la resistenza sia la reazione al fuoco, perciò, possiamo asserire che edifici realizzati sia in legno massello sia in legno lamellare garantiscono un R.E.I. (classe di resistenza meccanica al fuoco espressa in minuti) pari o addirittura superiore alle strutture in muratura o in calcestruzzo armato: con R indicante la stabilità (attitudine di un elemento da costruzione a conservare la resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco); con E indicante la tenuta (attitudine di un elemento da costruzione a non lasciar passare né produrre – se sottoposto all’azione del fuoco su un lato – fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto); e con I indicante l’isolamento termico (attitudine di un elemento da costruzione a ridurre, entro un dato limite, la trasmissione del calore).

Per determinare, conseguentemente, il requisito della resistenza al fuoco si possono seguire fondamentalmente due tipi di approcci, uno prescrittivo basato sulle normative antincendio studiate in relazione alle differenti possibili utilizzazioni, ed uno prestazionale basato sull’applicazione di modelli di calcolo decisamente complessi. Chiariti questi aspetti legislativi, il passaggio dall’aspetto normativo a quello applicativo è immediato.

Negli ultimi anni, fortificato anche dal notevole progresso tecnico-tecnologico raggiunto e sostenuto nei suoi crescenti usi da una consapevolezza ambientale maggiore, il legno lamellare ha avuto un grande successo. Il legno lamellare è un materiale composito, costituito essenzialmente da legno naturale, che attraverso un procedimento tecnologico di giunzione e incollaggio a pressione riduce i difetti propri del legno massiccio, garantendo una buona capacità resistente, leggerezza e ottime prestazioni termo-acustiche.

Le proprietà del legno, precedentemente descritte, sono ulteriormente enfatizzate in quello lamellare che, infatti, presentando sezioni trasversali di non ridotte dimensioni, fornisce elevate garanzie in caso di incendio, ma anche in caso di sisma. Il legno lamellare, già impiegato per serramenti e porte-finestre, oggi è impiegato anche nella realizzazione di grandi strutture come auditorium o piscine proprio per i benefici assicurati dalle sue caratteristiche che lo rendono materiale altamente performante e decisamente duttile. Oltre che eco-compatibile e riciclabile, a differenza del calcestruzzo armato e dell’acciaio.

Nella speranza che i suoi usi possano crescere progressivamente e possa, conseguentemente, crescere la consapevolezza da parte dei professionisti e dei committenti sulla bontà di questo materiale per evitare che, in futuro, possano imporsi ancora nuovi pregiudizi e luoghi comuni.

Giuseppe Milano

Sebbene sia conosciuto dagli albori dell’umanità, il legno, vincendo con i grattacieli in legno la sfida della verticalità, potrebbe essere il materiale edile del XXI secolo poiché capace di coniugare insieme tradizione ed innovazione da un lato ed efficienza energetica e resistenza statica dall’altro. Nonostante il legno sia, a differenza del cemento o del calcestruzzo armato, un materiale naturale e riciclabile, elegante e performante, per tutto il secolo scorso è stato trascurato ed ignorato ritenendolo poco adeguato, per motivi di sicurezza soprattutto, a fronteggiare adeguatamente la complessità della contemporaneità. Oggi, invece, fortificato dal progresso tecnologico e dalla conversione ecologica che sta gradualmente trasformando l’architettura, questo materiale sta conoscendo una nuova “primavera” e un nuovo “rinascimento” attraverso il suo uso sperimentale proprio sulla tipologia più sfidante, quella dei grattacieli in legno.

Se una buona progettazione è possibile in presenza di una sistemica visione, la realizzazione di queste moderne ed innovative architetture sostenibili è possibile attraverso l’ingegnerizzazione del legno lamellare. Il Cross Laminated Timber (CLT), infatti, composto da legno massiccio essiccato, incollato ed incrociato, è un materiale estremamente performante dal punto di vista statico ed elastico (ha eccellenti caratteristiche antisismiche); è adatto alla prefabbricazione che riduce tempi e costi (in prospettiva, per una ridotta manutenzione), ed avendo, inoltre, una maggiore resistenza al fuoco rispetto all’acciaio, con anche un ridotto impatto ambientale sia dei cantieri sia degli edifici finiti. Scopriamo, perciò, con un ideale giro del mondo, quali sono i progetti più innovativi finora ideati e realizzati e come i primi grattacieli in legno stanno modificando lo skyline urbano.

Norvegia. Nel 2005, a Trondheim, fu realizzato un primo prototipo: un edificio con appartamenti per studenti da 5 piani. Il progetto, molto innovativo per le soluzioni adottate ed elaborato dagli architetti Brendeland & Kristoffersen quando erano ancora studenti, prevedeva che l’intera struttura fosse realizzata con pannelli prefabbricati lignei; e, oltre all’altezza, fu premiata, dalla commissione del bando al quale i due giovani parteciparono, la capacità dei progettisti di mostrare le diverse proprietà del legno, materiale assolutamente versatile.

Inghilterra. Londra è la città europea che nell’ultimo decennio più ha investito e creduto nel legno, in tutte le sue versioni, come materiale da costruzione. Già nel 2009, infatti, fu concepita e realizzata la Stadthaus: un edificio torre di nove piani per ventinove appartamenti. Si tratta dell’unica opera edilizia interamente in legno in tutta Europa, compresi scale e vano ascensore. Osservandolo dall’esterno, appare come un grande alveare costituito da pannelli laminati di abete bianco: ogni muro è portante e ciò ha consentito agli architetti di “risparmiare” sul 50% delle superfici verticali. E sempre nella capitale inglese potrebbe sorgere, tra alcuni anni, progettata congiuntamente dallo studio PLP Architecture e dai ricercatori dell’Università di Cambridge, la Oakwood Tower, il grattacielo in legno più alto del mondo. Un’opera monumentale, con i suoi 300 metri di altezza suddivisi su 80 piani e distante non molti metri dallo Shard firmato da Renzo Piano, nella quale saranno accolti mille nuovi appartamenti per una superficie di quasi 100mila mq.

Australia. Se e quando la Oakwood Tower sarà realizzata, verrà abbattuto il record del “Forte Building”, al momento l’edificio in legno più alto al mondo nato dal genio dell’architetto Michael Green e completato a dicembre 2012, con i suoi 32 metri di estensione verticale garantiti dai pannelli di legno in Cross Laminated Timber. Il Forte Building dispone di una notevole dotazione tecnologica: un sistema di raccolta delle acque piovane, un sistema di illuminazione con tecnologia Led, parcheggi per car e bike sharing, giardini pensili.

Canada. Lo stesso architetto Michael Green – un precursore dei grattacieli in legno per il quale “la sfida consiste nel modificare la percezione sociale della possibilità” – dopo il progetto australiano, si è ripetuto a Vancouver con il “Tall Wood Buildings”, dove ha ideato due torri alte trenta metri. I due grattacieli ospiteranno residenze ed uffici e furono pensati con l’intenzione di inserire nel contesto urbano involucri edilizi poco energivori. È ormai noto, infatti, che il 47% delle emissioni di CO2 globali provenga dagli edifici, di cui il 10% dai soli materiali da costruzione e che, a differenza del legno, il cemento produca dai sei ai nove chili di C02 ogni 10 kg. Questi grattacieli, dunque, si caratterizzano per la presenza di pannelli solari, per le modalità di trattamento e riciclo dei rifiuti, per il recupero dell’acqua piovana.

Francia. L’architetto francese Jean-Paul Viguier ha vinto il concorso per un edificio a destinazione mista (residenze e uffici) a Bordeaux, costituito da tre torri in legno, la più alta delle quali – la Torre Hyperion – raggiungerà i 57 metri. L’edificio, la cui consegna prevista è per il 2020, sarà realizzato con strutture prefabbricate utilizzando pannelli massicci di legno laminato che, secondo l’architetto, consentiranno alle famiglie di intervenire con facilità per adeguare le abitazioni al cambiare delle esigenze di vita.

Svezia. Ad oggi è solo un progetto fortemente d’avanguardia, ma il grattacielo “Wooden Skyscraper” – atteso per il 2023 – potrebbe far diventare la città di Stoccolma, e il suo quartiere Marieberg, la sede di una delle torri in legno più alte del mondo. I suoi 34 piani sono realizzati interamente in legno, con alcune parti della struttura in cemento armato. Le ampie vetrate isolanti, i giardini pensili, i pannelli solari sul tetto e il sistema di raccolta delle acque piovane faranno del grattacielo di legno di Stoccolma un evoluto esempio di bioarchitettura ad alta efficienza energetica e a bassi consumi. Nella volontà di diffondere ulteriormente la consapevolezza che il legno non è solo un materiale da costruzione solido e flessibile, ma anche resistente e versatile. Un materiale, assolutamente rinnovabile ed eco-compatibile, che oggi, opportunamente trattato, resiste più a lungo agli incendi e all’umidità.

Nonostante alcuni passi, incoraggianti, siano stati fatti, la strada per la conversione ecologica dell’edilizia e dell’architettura è, probabilmente, ancora tutta da percorrere. Ai progettisti il dovere di non perdere la bussola, di riorientarla sempre lungo i sentieri della sostenibilità e di procedere ricordando la lezione, pronunciata nel 1995, dall’architetto Giancarlo De Carlo: “L’architettura diventa generosa e significante per gli esseri umani solo se è un’estensione gentile e delicata dell’ordine naturale”.

Giuseppe Milano