Nonostante sia ancora flebile il “suono” della ripresa economica, alcuni indicatori rivelerebbero una nuova predisposizione degli italiani a investire nel mercato delle abitazioni. A differenza del passato, però, emergerebbe una doppia tendenza, di stampo ecologico: o nuove abitazioni realizzate con materiali eco-compatibili o vecchie abitazioni riqualificate secondo i criteri della cosiddetta bio-architettura.

Nella consapevolezza, sempre più diffusa, che il processo edilizio è responsabile di almeno il 35% di emissioni di CO2 e che, quindi, occorra necessariamente una rivisitazione degli attuali dettami per una edilizia più efficiente e più “ambientalmente” sostenibile, il legno sta sempre più assumendo il ruolo di protagonista tra gli elementi costruttivi sin dalla fase di progettazione. È  infatti già nella fase preliminare che possono essere individuate le migliori soluzioni finalizzate alla realizzazione dell’architettura più funzionale alle esigenze del cliente.

Inoltre, per ottenere il risultato più performante, sia dal punto di vista tecnico-funzionale, che da quello economico (soprattutto per quanto riguarda la gestione dell’involucro edilizio), si stanno affermando, seppur gradualmente, le soluzioni prefabbricate, capaci di coniugare qualità progettuale e  innovazione ambientale.

Una soluzione prefabbricata in legno, infatti, non consente solo di avere abitazioni nelle quali sia il raffrescamento estivo sia il riscaldamento invernale non rappresentano per l’utente una criticità, attraverso l’adozione di un sistema integrato di tecnologie; ma anche di prevedere, con una certa accuratezza, i tempi di consegna dell’immobile, che sarà realizzato molto più rapidamente rispetto ad una costruzione tradizionale in muratura o in cemento.

Una casa prefabbricata in legno, pertanto, con questo materiale ormai sempre più certificato perché proveniente da foreste nelle quali ad ogni albero tagliato corrisponde un nuovo albero piantato, è anche una casa “amica dell’ambiente” perché riduce, di quasi l’80%, le emissioni in atmosfera, se progettata e realizzata a regola d’arte. Questa percentuale può raggiungere quasi il 100% se prevede il rispetto del protocollo “Passivhaus” (Casa Passiva) per il quale, anche e soprattutto con fonti rinnovabili, si produce più energia di quanta ne è necessaria per il suo funzionamento e applicando, in tal modo, anche la normativa europea che impone per l’edilizia pubblica e privata, entro il 2020, la conversione ecologica-energetica dell’intero patrimonio edilizio esistente. In questo risoluto scenario, si inserisce, con tutto il suo notevole know-how progettuale e professionale, l’azienda Albertani Corporates.

Non poche, del resto, le costruzioni progettate e realizzate nell’ultimo decennio, con la visione sia di soddisfare i suoi clienti con architetture eco-compatibili dalla grande vivibilità, sia di rispettare l’ambiente nel quale siamo tutti corresponsabilmente chiamati ad agire. E tra i modelli che possono essere citati a modello individuiamo “Casa Stoppada”.

Casa Stoppada. È questa una residenza privata realizzata nel Parco Naturale del Campo dei Fiori a Varese. La sua ubicazione ne ha fortemente ispirato e condizionato, per i vincoli paesaggistici presenti, la progettazione e la realizzazione, non inficiandone la qualità che, anzi, è stata sottolineata attraverso le diverse soluzioni previste. Di forma semplice e compatta, con copertura a capanna in una rievocazione delle vecchie cascine rurali, questa architettura prefabbricata in legno dispone di alte ed ampie aperture verticali che garantiscono un’ottima illuminazione naturale.

Il rischio di avere una abitazione particolarmente predisposta al suo surriscaldamento, conseguentemente, è stato eliminato dall’adozione di un sistema oscurante con lamelle in alluminio totalmente a scomparsa. È stato studiato, inoltre, l’orientamento per favorire la ventilazione naturale degli ambienti e, rispetto ad esso, la parete esposta a sud-ovest è stata progettata e realizzata con un sistema di ventilazione ad effetto camino.

All’interno, invece, riprendendo lo schema materico assunto per le pareti esterne di tompagno, sono stati applicati pavimenti in larice oliato capaci di trasferire una percezione di sicurezza e di accoglienza per una abitazione assolutamente vivibile e comfortevole. La scala, che conduce al piano superiore, è realizzata, infine, in cemento armato con pedate rivestite in pietra, con il materiale recuperato dalle vicine valli ossolane.

Giuseppe Milano
 

Siamo al Lago d’Iseo, siamo in Lombardia, terra d’imprenditorialità, di iniziativa privata. Un territorio in cui da sempre l’impresa è al centro dell’economia, un territorio in cui ha sede anche Albertani Corporates con i suoi stabilimenti di Edolo.

È in questa realtà che il land artist Christo Vladimorov Yavachev, in arte Christo, ha scelto di realizzare la sua installazione temporanea, finanziata in gran parte da enti privati.

Camminare sull’acqua. Un’immagine evocativa che da sempre rimanda inequivocabilmente a una delle tante esperienze di Gesù. Da oggi, senza essere blasfemi o creare improbabili analogie, è possibile, tuttavia, contemplare un’immagine altrettanto suggestiva: la passerella o pontile galleggiante “The Floating Piers” realizzata, appunto, da Cristo. L’installazione temporanea, inaugurata lo scorso 18 giugno e disponibile fino al prossimo 3 luglio, già visitata da centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, è stata realizzata sul lago di Iseo.

La passerella – costituita da 200mila cubi di polietilene e ricoperta da un tappeto giallo dalia – è larga 16 metri, lunga oltre 3 km e alta circa 50 centimetri nella parte centrale. E, dando appunto ai fruitori la sensazione di camminare sull’acqua, congiunge il paese di Sulzano con l’isola di Montisola e questa con l’isolotto privato di San Paolo. L’artista americano, di origini bulgare, è tra i massimi esperti al mondo di land art, ossia di quella tecnica volta a tutelare e a valorizzare i beni architettonici o paesaggistici attraverso progetti artistici altamente celebrativi della loro unicità. Soprannominato “l’impacchettatore”, negli anni ha lavorato sul Reichstag di Berlino (tale performance è stata visitata nel 1995 da quasi nove milioni di persone) o su Porta Pinciana a Roma. Sebbene sia stata realizzata solo nel 2016, dopo quasi 6 mesi di lavori sull’area scelta, il progetto dell’installazione di “The Floating Piers” è nato nel 1970 da Christo e dall’amica-collega Jeanne-Claude, ma mai prima d’oggi è stato realizzato, nonostante alcuni tentativi siano stati fatti prima in Argentina e poi in Giappone.

Con il Lago d’Iseo e il suo paesaggio, invece, è stato amore a prima vista. Sin dai primi sopralluoghi tecnici compiuti nel settembre del 2014, infatti, l’artista si è convinto che quel contesto naturale potesse ospitare la sua opera culturale. Con i favori e la disponibilità delle amministrazioni locali che in questa operazione vi hanno visto anche l’occasione per promuovere turisticamente i loro borghi, è nata una profonda empatia tra le comunità e Christo, che ha voluto incontrare più volte di persona i residenti per illustrare dettagliatamente le finalità artistiche dell’iniziativa e decidendo, contestualmente, di finanziare autonomamente l’installazione con una spesa di oltre 10 milioni di euro.

Iniziative private che portano un valore enorme al territorio e alla sua valorizzazione, tanto più quando, come in questo caso, mirano all’esaltazione naturalistica e paesaggistica dello stesso. Valori che costituiscono anche la missione di Albertani Corporates. Proprio nella provincia di Bergamo e di Brescia, infatti, sono presenti anche diverse costruzioni realizzate da Albertani Corporates che, coniugando sempre tradizione ed innovazione da un lato, e la qualità progettuale con la sostenibilità dall’altro, rappresentano delle eccellenze nel campo dell’architettura ecologica che proattivamente, come tessere di un mosaico, si inseriscono in uno scenario paesaggistico pregevole che andrà sempre più esplorato e valorizzato.

Giuseppe Milano

L’impiego del legno ha accompagnato la storia dell’uomo e della sua evoluzione fin dalle origini: da sempre, infatti, questo materiale, è stato apprezzato per la possibilità di essere reperito in maniera relativamente semplice, perchè si tratta di una risorsa rinnovabile e per la sua versatilità. Esso, infatti, ben si presta ad essere utilizzato per soddisfare esigenze e necessità numerose e differenti: in ambito edilizio come materiale da costruzione o complemento alle operazioni di cantiere, per la realizzazione di strumenti in genere, utensili, elementi di arredo, design e decorativi, per il riscaldamento, ecc.

Al giorno d’oggi, in un’epoca in cui, fortunatamente, crescono l’attenzione, l’interesse e la cura nei confronti delle tematiche della tutela e della sostenibilità ambientali, tale carattere si lega con quello della riciclabilità, altro grande vantaggio che l’impiego del legno porta con sè. Questo materiale, infatti, in quanto naturale, offre la possibilità sia di essere riciclato, sia di essere riutilizzato per scopi differenti in fasi successive. Tale aspetto non presuppone necessariamente il raggiungimento del termine del ciclo di vita di un prodotto o di un’architettura o di altre realizzazioni in legno, ma, al contrario, nel momento in cui viene meno la ragione d’essere dell’oggetto in questione, vi è la possibilità di recuperarne e reimpiegarne in maniera alternativa il materiale.

Questo rappresenta un aspetto (ed un vantaggio) fondamentale nell’ambito dell’architettura e dell’edilizia contemporanee. Molto spesso, infatti, alcune esigenze inaspettate o variazioni nella destinazione e nell’impiego di una struttura, fanno emergere la necessità di rimuovere, sostituire o modificare tutto o parti di essa. Nel caso di tecniche costruttive più tradizionali, come il cemento armato o il latero-cemento, questo potrebbe costituire un problema, o meglio, implicare l’obbligo di lavori di una certa invasività e, nello stesso tempo, escludere quasi in toto, qualsiasi pretesa di riutilizzo dei materiali. Lo stesso non vale per il legno, riciclabile e riutilizzabile per definizione e che consente intervcenti anche in contesti delicati e problematici. Basti pensare all’installazione della passerella in legno che l’azienda Albertani ha realizzato all’interno del Colosseo: si tratta di una struttura fissa ma, all’occorrenza, interamente rimovibile e che, come espressamente e fortemente richiesto dalla committenza, non ha prodotto modifiche permanenti all’anfiteatro romano simbolo di Roma e, probabilmente, dell’Italia nel mondo. Nel caso vengano meno le premesse che hanno condotto alla realizzazione di tale manufatto o nell’eventualità di conflitti con eventuali esigenze di restauro e manutenzione del monumento, la passerella potrà essere smantellata senza lasciare traccia, ed il legno che la compone sarà recuperato per essere destinato a nuovi utilizzi.

Esempi recenti di riuso e recupero del legno sono anche quelli dei Padiglioni realizzati per Milano Expo 2015, manifestazione in cui questo materiale è stato grande protagonista anche grazie alle direttive ed alle linee-guida (“Sustainable Solutions Guidelines. Design, construction, dismantling, reuse”) fissate dall’organizzazione: condizione imprescindibile per la partecipazione era infatti quella di proporre “sustainable solutions”, cioè progetti basati sui principi fondamentali di sostenibilità, riciclabilità e riuso. Per questo i padiglioni realizzati in legno sono stati numerosi: Giappone, Spagna, Estonia, Cile, Irlanda del Nord, sono solo i più famosi di una lunga serie. Gli ultimi due, in particolare, hanno visto impegnati nella realizzazione i tecnici dell’azienda Albertani, che, fin dalle primissime fasi, aveva garantito che tutte le strutture in legno che avrebbe fornito, sarebbero state smantellabili, trasportabili e riutilizzabili alla conclusione dell’esposizione. Il caso che oggi è, più di altri, agli onori delle cronache è quello del Padiglione dell’Irlanda del Nord, un volume parallelepipedo rivestito da listelli in legno grezzo, con una parete curva e suddiviso su tre livelli di cui l’ultimo con terrazza a tetto. Dopo la chiusura dei lavori di Expo, il legno impiegato per la sua realizzazione è stato recuperato e reimpiegato per l’allestimento del Padiglione Italia alla Biennale di Architettura di Venezia 2016, inaugurata lo scorso 27 Maggio.

Sono pertanto innegabili i vantaggi e le opportunità che la versatilità del di questo materiale offre, sia nella realizzazione di installazioni e strutture di carattere temporaneo, sia per opere ed architetture permanenti. La scelta del legno gli garantisce infatti la possibilità di adattarsi e di subire, in maniera abbastanza semplice, modifiche in funzione di variazioni nelle necessità di utilizzo, di venire smontate per trasformarsi, una volta rimontate, in qualcosa di nuovo e differente, oppure per fornire materiale da destinare al riutilizzo.

Elena Ottavi

La 15esima Mostra Internazionale di Architettura, curata da Alejandro Aravena e inaugurata lo scorso 28 maggio, continua a raccogliere opinioni positive per la sua scelta di indagare ed affrontare, limpidamente e organicamente, le criticità delle città contemporanee – si pensi alla necessità che diventino resilienti per gli effetti indotti dai cambiamenti climatici – per proporre soluzioni socio-ambientalmente sostenibili. E, in particolare, in queste prime giornate di Biennale sta venendo particolarmente apprezzato il Padiglione Italia – curato dal team di TAMassociati e realizzato negli allestimenti da Albertani – che “coglie, per il presidente del Cnappc (Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) Giuseppe Cappochin, il vero significato della Rigenerazione Urbana Sostenibile (Riuso) e rappresenta una visione dell’architettura tesa non solo a migliorare le periferie e l’ambiente edificato, ma che si prende cura delle persone e delle comunità, incidendo sulla marginalità sociale e promuovendo l’innovazione culturale”. Per conoscere meglio, pertanto, la visione dell’azienda che ha realizzato elegantemente il padiglione nazionale, abbiamo rivolto alcune domande all’Ad Ilario Albertani, che ringraziamo per la disponibilità.

Come nasce la vostra partecipazione alla 15. Mostra Internazionale d’Architettura? Come avete declinato il tema “Reporting from the front” nel Padiglione Italia?

Albertani Corporates ha da sempre uno strettissimo legame con l’architettura, anche con la più ardita e creativa. Questo legame e la recente partecipazione a Expo 2015 – in qualità di costruttori di alcuni dei padiglioni espositivi, fra cui quello dell’Irlanda – hanno fatto nascere la riflessione sulla “fine” dei materiali utilizzati per l’esposizione universale. Ne è derivata, conseguentemente, la dimostrazione della citata e desiderata rinnovabilità del legno come materiale da costruzione. Oggi, perciò, si aprono nuovi scenari per le realizzazioni di “frontiera”.

Per realizzarne l’allestimento avete riutilizzato i pannelli CLT usati al Padiglione Irlanda ad Expo 2015. Quanto è importante “riusare” oggi l’architettura, anche in chiave temporanea dandole una valenza sociale? 

L’adozione del “riuso”, come approccio operativo, ritengo sia propedeutico ad una forma mentale più evoluta nel settore delle costruzioni, sia residenziali sia di altra natura. Nei moderni complessi urbani così come in aree di nuova urbanizzazione, il rispetto dell’ambiente e il razionale utilizzo del suolo o degli spazi devono essere concepiti pensando anche alla seconda vita dei manufatti che si vanno a costruire. Senza con ciò subordinare l’economia degli interventi.

Come credete, sulla base della vostra decennale esperienza e competenza apprezzate anche all’estero, che si stia evolvendo l’architettura e, quindi, la possibilità di utilizzare materiali sostenibili e versatili come il legno?

La costruzione in legno lamellare e quella con pannelli CLT Xilam ha dei vantaggi pratici ben noti se paragonati con quelli degli altri materiali. L’evoluzione tecnologica e il progresso funzionale, pertanto, favoriranno secondo me un aumento del suo impiego. In ambito residenziale, soprattutto, ma anche su interventi complessi e dalle dimensioni notevoli. Con l’effetto di avere nelle nostre città, in tempi e con costi minori rispetto alle realizzazioni tradizionali, edifici in legno non solo dall’alta qualità strutturale, ma anche per quella abitativa percepita.

Perché in Italia sembra sia culturalmente difficile anche per i tecnici progettare e realizzare architetture in legno?

La cultura del costruire in legno in Italia sta crescendo e ci sono tantissimi bravi tecnici esperti in materia. L’aspetto sul quale dobbiamo lavorare è certamente il concepimento dell’edificio in legno per il nostro clima, ben diverso da quello rigidissimo del nord Europa. Per chi vive in climi freddi, infatti, l’aspetto fondamentale è disporre di una casa comfortevole e per la cui gestione i costi siano sostenibili. Ben diverso, e decisamente più complesso, è, invece, proteggersi dalle alte temperature estive, in climi per esempio mediterranei, rispetto alle quali vanno ideate e realizzate opportune soluzioni. Ed oggi siamo in grado di dare le migliori risposte a tutte le esigenze dei cittadini per alte condizioni di vivibilità, nel rispetto di tutti i parametri di sostenibilità ambientale.

Giuseppe Milano

Raccogliere la sfida della complessità contemporanea sciogliendo il nodo della marginalità spaziale per una nuova riconfigurazione sociale delle città. Con “l’architettura che ha fatto, fa e farà la differenza”. E’ questa la missione della 15esima Mostra Internazionale di Architettura, curata dal Pritzker Architecture Prize 2016 Alejandro Aravena e inaugurata nello scorso fine settimana dal Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. La nuova edizione della Biennale, “Reporting from the front” (Indagine dal fronte, ossia dalle “periferie del mondo”), con 88 partecipanti provenienti da 37 Paesi, si propone di “ascoltare coloro che sono stati capaci di una prospettiva più ampia e di conseguenza sono in grado di condividere conoscenza ed esperienze, inventiva e pertinenza con chi tra noi rimane con i piedi appoggiati al suolo”, conferendo al suolo lo status di bene comune da non consumare inutilmente e da preservare nella visione sia di salvaguardare il pianeta che ci accoglie sia di impiegare responsabilmente le sempre più limitate risorse naturali. Ne consegue, pertanto, sempre secondo la lettura di Aravena, “che migliorare la qualità dell’ambiente edificato è una sfida che va combattuta su molti fronti, dal garantire standard di vita pratici e concreti all’interpretare e realizzare desideri umani, dal rispettare il singolo individuo al prendersi cura del bene comune, dall’accogliere lo svolgimento delle attività quotidiane al favorire l’espansione delle frontiere della civilizzazione”. Se mette al centro il diritto alla vita e alla città di ogni singolo cittadino, rivoluzionando e stravolgendo il paradigma architettonico ancora vigente e diffuso arbitrariamente da molte archistar basato più sull’estetica che sull’etica, l’architettura diventa “sociale”. Ed è tale “quando non ignora gli ideali e cresce nel confronto continuo con altre pratiche, in un processo di “costruzione di senso” volto a definire categorie comuni quali appartenenza, identità, condivisione, conoscenza”.

Lungo questo binario corre veloce il treno dell’Architettura che caratterizza il Padiglione Italia, nel quale il tratto “sociale” si fonde e si confonde con quello “solidale”. A cominciare dal nome dell’esposizione: “Taking Care – Progettare per il bene comune”. Per questa edizione della Biennale, l’installazione del Padiglione Italia, ospitato come sempre all’Arsenale, è stata realizzata, con cura e raffinatezza progettuale, da Albertani che, coerentemente alle indicazioni “sostenibili” del curatore Aravane, ha impiegato il legno utilizzato per il Padiglione dell’Irlanda ad Expo 2015. Una scelta mirabile, già molto apprezzata dal primo flusso di visitatori della Mostra Internazionale, che aderisce, inoltre, perfettamente, alla visione degli architetti estensori di “Taking Care”. L’esposizione, ispirata dall’idea che l’architettura debba essere al servizio della collettività e dei luoghi della comunità, si sviluppa in tre sezioni: “Pensare”, “Incontrare”, “Agire”.

“Pensare” è una ricognizione del tema del bene comune, sul suo valore e sul rapporto che intesse con lo spazio costruito: un percorso arricchito dal contributo offerto da personalità di diversa provenienza culturale e professionale, per spingere lo sguardo oltre le definizioni correnti. “Incontrare” è una rassegna di 20 progetti di architettura, tutti realizzati da altrettanti studi italiani, in Italia e all’estero. Nell’insieme, essi raccontano di come i soggetti, quando co-autori, possano creare spazi e luoghi utili alla collettività, dando così pari rilievo sia ai processi che all’opera edificata. “Agire”, culmine della mostra, si traduce in un concreto invito all’azione. “Agire” ospita, infatti, gli alias di 5 dispositivi mobili pensati per un intervento diretto in aree di marginalità del nostro Paese.

La periferia, in fondo, come ampiamente testimoniato recentemente anche dalle iniziative di “rammendo” di Renzo Piano, non è soltanto uno spazio fisico: è anche uno spazio mentale e cioè quel luogo di marginalità culturale in cui si è venuta a trovare l’idea stessa dell’abitare. L’architettura potrà continuare ad agire come strumento di contrasto solo se sarà in grado di confrontarsi con questa marginalità.

I 5 moduli carrabili sono stati progettati da 5 studi italiani in collaborazione con 5 associazioni da sempre impegnate in programmi di contrasto al degrado sociale ed ambientale: AIB (Associazione Italiana Biblioteche), Emergency, Legambiente, Libera, UISP (Unione Italiana Sport per Tutti). La democraticità e la spontanea originalità di questa architettura sociale-solidale è testimoniata, inoltre, anche dalla campagna di crowdfunding avviata proprio nell’intenzione di realizzare questi dispositivi mobili e farli diventare, una volta messi su strada, strumenti concreti di tutela e riscatto sociale.

I progettisti dello studio TAMassociati che hanno curato l’allestimento, concludendo, hanno spiegato così le loro scelte: “abbiamo voluto realizzare nella cornice della Biennale una prova tangibile di come l’architettura, con il suo specifico sapere, possa contribuire a diffondere e rendere efficaci i principi di socialità, partecipazione, salute, integrazione, legalità. In qualsiasi luogo e a qualsiasi scala. Con tali principi l’architettura di questo millennio si dovrà sempre più confrontare, per dare una risposta alle sfide che la città e l’ambiente presenteranno non solo agli architetti, ma a tutti i più responsabili “progettisti” del prossimo futuro”.

Giuseppe Milano

I musei e gli spazi espositivi nel nostro Paese, per la straordinaria ricchezza e bellezza del nostro patrimonio culturale, dovrebbero essere tra i luoghi più tutelati e valorizzati; luoghi nei quali si dovrebbero esaltare i risultati delle ricerche e delle sperimentazioni archeologiche-storiche-artistiche-fisiche. Per rendere l’esperienza del visitatore fortemente suggestiva ed intimamente emotiva. Almeno in Italia, questo non succede sempre e non accade ovunque, con il risultato che “valorizzazione” e “conservazione” sono assunti, quasi, a sinonimi; a differenza, invece, di quel che accade nel resto del mondo dove, già da un decennio, i musei praticano la “valorizzazione” dei beni culturali declinando i paradigmi dell’innovazione. Agendo, contestualmente, non solo sui contenuti, ma, spesso, anche sul contenitore che, per le sue sagome sinuose o per l’alta tecnologia con la quale è realizzato, diventa esso stesso un bene museale fortemente attrattivo. Con un’identità tanto più riconoscibile quanto più sarà capace di relazionarsi empaticamente con la città e armoniosamente con il paesaggio. E il dialogo con la natura, per questi poli della conoscenza che puntano a rinvigorire la bellezza della cultura, è vitale. All’alba del terzo millennio, infatti, i musei, sia quelli di nuova edificazione sia quelli sottoposti a ristrutturazione, sono “green”: sono impiegati – tanto per le coperture quanto all’interno delle strutture – sia materiali naturali e sostenibili come il legno o il bambù, sia accorgimenti impiantistici ad alta efficienza energetica, sia soluzioni infrastrutturali innovative. Vediamo alcuni esempi.

Francia. Completato nel 2010, il nuovo Centre Pompidou a Metz, progettato dall’architetto Shigeru Ban (Pritzker Prize 2014), si propone di mostrare al pubblico opere di grandi dimensioni non accessibili nell’omonimo museo di Parigi a causa dell’altezza di 5,50 metri sotto le travi. La struttura di Ban, raggiungendo un’altezza del soffitto di 18 metri, presenta tre gallerie principali tra loro interconnesse funzionalmente e verticalmente, poste attorno ad una torre dal telaio in acciaio esagonale che contiene le scale e gli ascensori. Ogni spazio espositivo del Centre Pompidou di Metz è chiuso trasversalmente da grandi vetrate che, oltre al beneficio di una notevole illuminazione naturale, consentono la visione dei principali monumenti cittadini e, idealmente, favoriscono una fusione tra il museo e la città stessa. È la copertura, tuttavia, una delle principali peculiarità di quest’architettura. Ispirata dalla trama di un cappello di tessuto tradizionale cinese, Shigeru Ban ha realizzato una struttura a griglia con legno lamellare, facilmente piegabile nelle due direzioni, in grado di sormontare tutti i volumi sottostanti. Con l’aneddoto che tale “guscio” ha una forma esagonale per omaggiare i francesi che rappresentano il loro Paese con questo elemento geometrico.

America. Dall’estate del 2014, è attivo in Colorado l’Aspen Art Museum (AAM). Anche questo intervento, finalizzato a promuovere e a divulgare le più innovative tendenze dell’arte contemporanea, è stato progettato da Shigeru Ban. L’architetto giapponese ha disegnato un volume semplice nella geometria, ma articolato nel concept: il museo – che ospita un’area reception, due gallerie espositive, spazi per attività educative e uno studio per gli artisti – prevede, infatti, la combinazione di alcuni elementi fondamentali e, nello specifico la sovrapposizione accurata di layers verticali con differenti gradi di trasparenza, che ruotano intorno alla relazione fra spazio interno ed esterno. L’ampia scala e il suggestivo ascensore panoramico, ovvero i punti di connessione fra i diversi piani del museo, sono anche gli spazi in cui si intensifica l’interazione visiva tra i layers verticali. La struttura in legno della copertura, con la sua morfologia complessa, crea una sorta di filtro attraverso cui penetra la luce naturale. Il prospetto, infine, a conferma della qualità progettuale raggiunta, è realizzato da un materiale composito, il prodex, costituito da speciali fogli di carta e resina racchiusi tra due strati esterni di legno naturale.

Norvegia. Completato nel 2011 nella cittadina norvegese di Hjerkinn, ai bordi del Dovrefjell National Park e su progetto dello studio Snøhetta, il Norwegian Wild Reindeer Centre Pavilion è un padiglione di circa 75 metri quadrati arroccato su un altopiano a 1200 metri d’altezza – in un’area particolarmente rinomata per la presenza di rare specie di piante ed animali – che offre ai visitatori delle sensazionali viste panoramiche. Il nucleo centrale dell’edificio in legno è la chiave dell’intero progetto: in facciata è considerabile principalmente come un elemento scultoreo di forte richiamo al paesaggio circostante, negli interni si pone come un vero e proprio elemento d’arredo completamente utilizzabile come seduta.

Perù. Il Museo della Memoria di Lima (Lum), esito di un concorso nazionale del 2010, si propone come strumento per esercitare proattivamente la memoria, ricordando il periodo della guerra civile che ha insanguinato il Paese dal 1980 al 2000 nella speranza che non accadano più simili orrori. Il LUM, situato in un lotto al centro della baia costiera contraddistinta da una serie di faraglioni che disegnano un balcone naturale, assume le sembianze di uno scoglio artificiale in cemento armato a vista che conclude il ritmo di quelli naturali. Il museo è costituito da un grande basamento che ospita i parcheggi e, al livello superiore, l’auditorium, la cui copertura diventa una grande piazza pubblica affacciata sull’oceano. La piazza, detta “spianata della riconciliazione”, è luogo d’incontro dei visitatori e, per i parenti delle vittime, luogo di commemorazione. Le prime sale al livello della piazza ci parlano delle origini della violenza e del conflitto armato, con pannelli lignei dipinti disposti a zig-zag o appesi ai muri mediante sottili profili di acciaio verniciati di nero. Il percorso prosegue lungo la rampa al primo piano in cui le diverse sale fanno parte di un unico spazio continuo. Le sale del primo piano ci spiegano, mediante pareti sospese in legno impiallacciato e vetrine inclinate, come venne vissuto il conflitto armato a Lima e la sua influenza sulla vita della gente. Il sistema di sale terrazzate si conclude in una grande aula con panche in legno semicircolari: il luogo dell’incontro e dell’ascolto reciproco. Il LUM vuole essere un luogo di pace, incontro e riconciliazione in cui possano rimarginarsi le ferite che nel recente passato hanno diviso il Paese.

Giuseppe Milano

Da diversi decenni, nel nostro Paese, a differenza di quel che accade in Europa e nel resto del mondo, imperversa il luogo comune secondo cui le costruzioni in legno non sarebbero sicure, soprattutto in caso di incendio, e ancor più se confrontate con quelle in acciaio o calcestruzzo armato.

Ma è veramente così? No. Non è così. E non può essere così perché la causa principale di un incendio non è mai la struttura, ma gli elettrodomestici o i tendaggi e le stoffe in genere. Per rispondere correttamente a questa domanda, infatti, basterebbe conoscere le proprietà fisiche-meccaniche del legno, materiale naturale per definizione che, anzi, affascina profondamente per la sua versatilità, la sua duttilità, la sua ecologicità. E basterebbe, poi, con un ideale giro del mondo, visitare i Paesi della Scandinavia o alcuni Stati americani che, da decenni, realizzano le loro abitazioni in legno.

Il segreto di questo materiale, quindi, sia nella versione massello sia lamellare, risiede nel fenomeno della carbonatazione per il quale solo quando la temperatura di combustione supera i 240°C inizia un processo di carbonizzazione dello strato più esterno che protegge quello più interno con la sezione resistente che non si riduce se non in tempi lunghi. Con questo comportamento che, quindi, deriva dalle caratteristiche fisiche-meccaniche del materiale: in particolare, la ridotta dilatazione termica, per cui gli elementi strutturali lignei si deformano molto poco; e la bassa conducibilità termica, per cui il legno protegge i connettori metallici e gli impianti inseriti nelle murature lignee. Specificatamente, nel caso di un’essenza molto diffusa come l’abete, la velocità di penetrazione della carbonatazione è di 0,7 mm/min per legno lamellare e 0,9 mm/min per il legno massello.

Tale esempio, dunque, contribuisce a fotografare nitidamente la realtà: il collasso delle strutture in legno per incendi è una probabilità remota, potendo avvenire solo per la progressiva riduzione della sezione, dall’esterno verso l’interno e in tempi decisamente lunghi, e non per il decadimento delle caratteristiche meccaniche o per i cedimenti vincolari dovuti alla deformazione delle strutture come avviene per l’acciaio e il calcestruzzo. Sulla base del Decreto del Ministero dell’Interno del 9/3/2007, nel quale vengono definite sia la resistenza sia la reazione al fuoco, perciò, possiamo asserire che edifici realizzati sia in legno massello sia in legno lamellare garantiscono un R.E.I. (classe di resistenza meccanica al fuoco espressa in minuti) pari o addirittura superiore alle strutture in muratura o in calcestruzzo armato: con R indicante la stabilità (attitudine di un elemento da costruzione a conservare la resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco); con E indicante la tenuta (attitudine di un elemento da costruzione a non lasciar passare né produrre – se sottoposto all’azione del fuoco su un lato – fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto); e con I indicante l’isolamento termico (attitudine di un elemento da costruzione a ridurre, entro un dato limite, la trasmissione del calore).

Per determinare, conseguentemente, il requisito della resistenza al fuoco si possono seguire fondamentalmente due tipi di approcci, uno prescrittivo basato sulle normative antincendio studiate in relazione alle differenti possibili utilizzazioni, ed uno prestazionale basato sull’applicazione di modelli di calcolo decisamente complessi. Chiariti questi aspetti legislativi, il passaggio dall’aspetto normativo a quello applicativo è immediato.

Negli ultimi anni, fortificato anche dal notevole progresso tecnico-tecnologico raggiunto e sostenuto nei suoi crescenti usi da una consapevolezza ambientale maggiore, il legno lamellare ha avuto un grande successo. Il legno lamellare è un materiale composito, costituito essenzialmente da legno naturale, che attraverso un procedimento tecnologico di giunzione e incollaggio a pressione riduce i difetti propri del legno massiccio, garantendo una buona capacità resistente, leggerezza e ottime prestazioni termo-acustiche.

Le proprietà del legno, precedentemente descritte, sono ulteriormente enfatizzate in quello lamellare che, infatti, presentando sezioni trasversali di non ridotte dimensioni, fornisce elevate garanzie in caso di incendio, ma anche in caso di sisma. Il legno lamellare, già impiegato per serramenti e porte-finestre, oggi è impiegato anche nella realizzazione di grandi strutture come auditorium o piscine proprio per i benefici assicurati dalle sue caratteristiche che lo rendono materiale altamente performante e decisamente duttile. Oltre che eco-compatibile e riciclabile, a differenza del calcestruzzo armato e dell’acciaio.

Nella speranza che i suoi usi possano crescere progressivamente e possa, conseguentemente, crescere la consapevolezza da parte dei professionisti e dei committenti sulla bontà di questo materiale per evitare che, in futuro, possano imporsi ancora nuovi pregiudizi e luoghi comuni.

Giuseppe Milano

“Se si vuole contribuire al benessere del mondo, bisogna cominciare dalla propria casa”.

 Non l’avrebbe, forse, mai detto, Mahatma Gandi. Ma questo suo aforisma, all’alba del terzo millennio segnato da una crisi economica non ancora superata e una crisi ecologica sempre più acuta, ha oggi una ancor più grande attualità e contemporaneità se considerassimo la quantità di anidride carbonica immessa in atmosfera a causa delle attività antropiche con il segmento dell’edilizia, insieme a quello delle infrastrutture, tra i più energivori e tra i principali corresponsabili dei cambiamenti climatici.

In questo scenario in continua evoluzione, nel quale, anche per le mutevoli istanze sociali, stanno subendo una profonda rivisitazione anche culturale tutti i fondamentali paradigmi tecnici, già da alcuni anni si sta affermando il modello della costruzione per prefabbricazione. Originariamente previsto e utilizzato per le architetture industriali, oggi questo sistema sta trovando un impiego crescente anche per le architetture residenziali. Con il legno, in modo particolare, a guidare questa “rivoluzione copernicana” e a sfatare, inoltre, molti luoghi comuni sulla sua performabilità. Se, infatti, le costruzioni prefabbricate, per definizione, hanno il vantaggio dell’economicità (si può risparmiare fino al 90% per i costi energetici), della rapidità e della qualità d’esecuzione con alcuni elementi fondamentali come pareti e solai realizzati negli stabilimenti industriali e poi soltanto assemblati in cantiere, a differenza delle ipotesi in cemento o in acciaio, la prefabbricazione in legno ha numerosissimi vantaggi.

Vediamoli in dettaglio: il legno è un materiale naturale, rinnovabile e riciclabile dopo il suo ciclo di vita, a differenza del cemento; il legno è capace di assicurare, pure con piccoli spessori, alte ed ottime proprietà di isolamento termo-acustico sia nel periodo invernale sia nel periodo estivo (per esempio con un isolante a fibra di legno ad alta densità o un “cappotto” ben installato che riduca al massimo i punti di discontinuità): con una buona progettazione che preveda sia la ventilazione trasversale sia l’esposizione a sud degli ambienti della cucina e del soggiorno con infissi altamente performanti, del resto, le proprietà di isolamento sarebbero esaltate; il legno, inoltre, disinnescando alcuni pregiudizi culturali anche per l’ausilio della tecnologia lamellare, oggi è resistente all’azione sismica e a quella degli incendi, reagendo meglio dell’acciaio e del cemento. A questo proposito, occorre ricordare che la velocità di carbonizzazione del legno è pari a solo 0,7mm al minuto e lo strato di carbone funge da protezione al fuoco per lo strato esterno, garantendo la portata dell’edificio per alcune ore, ossia per un tempo sufficiente per allontanarsi in sicurezza dalla costruzione; a differenza, invece, dell’acciaio che in presenza di alte temperature cede e fa collassare la struttura molto rapidamente.

Per il suo carattere elastico e per le sue proprietà meccaniche, poi, il legno – e il legno lamellare in particolare – reagisce meglio degli altri materiali all’azione sismica poiché l’energia indotta dal sisma è assorbita meglio dalla struttura lignea che presenta una maggiore deformabilità. La prefabbricazione, quindi, per quanto detto finora, assicura costruzioni sia ecologiche sia economiche, ma è opportuno, per una conoscenza più approfondita, individuare due diverse modalità di costruzione: il sistema con pareti a telaio e il sistema con pareti in Xlam.

Il sistema costruttivo a telaio, anche detto “platform frame”, è tra i più noti al mondo per la realizzazione di edifici e verte sulla formazione di una intelaiatura autoportante composta da pilastrini in legno lamellare che viene ancorata attraverso tirafondi in acciaio ad una fondazione in calcestruzzo armato originando una struttura “scatolare” indipendente piano per piano. Il vantaggio delle pareti a telaio è che l’isolante è posto all’interno tra i montanti e questo comporta una riduzione sensibile dello spessore della parete finita e un aumento della superficie utile calpestabile. Il sistema costruttivo in Xlam, invece, deve prevedere, prima di tutto, una buona progettazione poiché per la sua compatta e notevole rigidità diventerebbe difficile (ed oneroso) comportare modifiche in cantiere. Questa rigidità, tuttavia, soprattutto in caso di azione sismica, conferisce alla struttura una buona resistenza. Le pareti in Xlam, inoltre, presentano per l’isolamento termo-acustico il sistema del “cappotto” e, come le pareti a telaio, permettono di realizzare finiture esterne ed interne che risulteranno come una muratura.

Nonostante queste innovazioni, tuttavia, probabilmente per un fattore culturale, le costruzioni in muratura nel nostro Paese restano ancora largamente diffuse. Con molte aziende che stanno investendo in questo materiale per renderlo più competitivo e più versatile nei suoi usi per fornire agli operatori del settore un materiale capace di realizzare architetture flessibili e dinamiche. La prefabbricazione, infine, è possibile, come si diceva, anche con l’acciaio. Le costruzioni in acciaio, altamente tecnologiche, conferiscono una grande sicurezza in caso di azioni sismiche e, per le realizzazioni più eclettiche, possono descrivere il tratto creativo ed elegante del progettista, sebbene ha la criticità del suo comportamento in caso d’incendio. Concludendo, quindi, non si potrà dire, a priori, qual è la soluzione migliore dovendo essere analizzate tanto le esigenze personali del cliente, opportunamente suggerito da un progettista competente, quanto il contesto socio-ambientale, ma è indubbio che rispetto ai sistemi tradizionali in cemento-laterizio e in acciaio, la prefabbricazione in legno, come si è visto, oggi offra moltissimi vantaggi economici-ecologici.

Con questa soluzione che, ancor più oggi che da ciascuno sono richiesti comportamenti corresponsabili per salvaguardare la biosfera, rispetta l’invito gandhiano a proteggere e a valorizzare il mondo che viviamo.   

Giuseppe Milano

L’aspetto che più colpisce nei progetti di Renzo Piano è sua la capacità di ricercare e dare, costantemente, risposte sempre nuove e sensibili alle tematiche di volta in volta affrontate. Il risultato sono opere sorprendentemente eterogenee, accomunate da una concezione di architettura integrata al contesto ed alla cultura locali ma, nello stesso tempo, proiettata verso il futuro dall’utilizzo (spesso commistionato) di materiali tradizionali e tecnologie d’avanguardia, in primis quelle rivolte alla sostenibilità. Quest’ultima costituisce una componente essenziale ed imprescindibile del progetto, con il quale nasce e si sviluppa in maniera “simbiotica”, e una delle ragioni per cui le architetture di Piano stupiscono ogni volta: inoltre le soluzioni sempre innovative che propone, derivano, solitamente, dall’applicazione di tali tecniche e tecnologie sostenibili costantemente all’avanguardia.

Ne è un esempio il progetto del nuovo quartiere Le Albere a Trento, elaborato e realizzato da Renzo Piano e dal suo studio e che ha visto la collaborazione anche di Albertani Corporates.

L’intervento interessa l’ex area industriale Michelin e, di fatto, ricostruisce un nuovo pezzo di città, estendendosi dall’antico Palazzo delle Albere fino alla sponda dell’Adige. Ha come obiettivo il recupero e la ricucitura del rapporto della zona sia con il tessuto urbano esistente (quello consolidato della città storica) sia con il contesto fluviale. Inoltre l’insediamento qui di un mix funzionale (abitazioni, uffici, spazi culturali commerciali e ricreativi, centro polifunzionale) intende restituire nuovo slancio e vitalità ad un’area che negli anni è stata via via emarginata.

L’impostazione del progetto è incentrata sulla definizione di un asse Nord-Sud, rettilineo e pedonale, che congiunge i due poli, individuati, rispettivamente, dal M.U.S.E. – Museo delle Scienze, e dal centro polifunzionale. Un secondo asse, curvo e segnato dall’acqua, sottolinea ulteriormente il collegamento tra i due edifici e, nello stesso tempo, funge da elemento di transizione tra l’area costruita e quella naturale, rappresentata dall’ampio parco (circa 5 ettari). Questo nuovo polmone verde della città e parte integrante del progetto, interessa tutta la zona Ovest e va a fondersi con il contesto naturale dell’argine dell’Adige. La presenza dell’acqua costituisce uno degli elementi caratterizzanti dell’intervento: infatti un sistema di canali attraversa tutta l’area in direzione Nord-Sud, alimentando due specchi d’acqua che circondano gli edifici pubblici e costituendo, nello stesso tempo, una riserva idrica utilizzabile a fini di irrigazione ed antincendio.

Gli altri edifici, 18 palazzine per un totale di circa 350 unità abitative, si concentrano ad Est: presentano tipologia prevalentemente in linea o a corte, con tagli orizzontali che consentono alla vista di spaziare dalla strada ai giardini condominiali, ed altezze massime che non superano i quattro o cinque piani per mantenere il rapporto con la scala della città storica. Ciascuna unità dispone inoltre di una quota di verde privato, consistente in un piccolo giardino o in un loggiato. Al di sotto delle abitazioni è stato realizzato un grande parcheggio sotterraneo per circa 2000 posti auto.

Dal punto di vista architettonico gli edifici sono stati realizzati prevalentemente in legno, con l’impiego di spessori importanti di isolamento termico allo scopo di garantire l’efficienza energetica passiva dell’involucro. Le facciate sono state ottenute attraverso l’utilizzo di moduli di legno da 3,75 m, in cui si inseriscono i sistemi di logge e finestre che si adattano a seconda delle diverse funzioni interne.

L’uso di questo materiale, oltre a costituire la cifra stilistica dell’intervento, risponde anche ad esigenze “etiche”. Lo stesso Renzo Piano lo descrive nel modo seguente: “Tutto il progetto è concepito e realizzato per risparmiare energia ed essere ragionevoli e sostenibili sul piano della gestione, perché l’ispirazione di base su cui si apre questo nuovo secolo per un architetto è capire che la fragilità della Terra non va soltanto difesa facendo economia, ma anche andando a cercare quali sono le espressioni architettoniche migliori. Usare il legno è già di per sé un’attività intelligente, non solo perché siamo a Trento, ma perché è un materiale nobile, antico, è un materiale che viene dalle foreste, e le foreste si rinnovano, per cui di fatto è energia rinnovabile oltre che perfettamente riciclabile”.

Marciapiedi e percorsi sono invece identificati dall’uso di pietra tradizionale, nelle due varianti di verdello e rosso Trento, presente anche nel centro storico: essa riveste inoltre i muri dei piani terra, i corpi scala e le facciate opache degli edifici pubblici, stabilendo, in questo modo, un sistema gerarchico di spazi e funzioni.

Le coperture in zinco assicurano continuità visiva al complesso e prevedono particolari accorgimenti studiati allo scopo di limitare la visibilità di prese d’aria e camini: su di esse sono stati installati pannelli fotovoltaici che, insieme ad otto sonde geotermiche, assicurano il funzionamento delle pompe di calore per il riscaldamento invernale ed il raffrescamento estivo.

Tutti gli edifici residenziali hanno ricevuto il riconoscimento Casa Clima livello B, mentre il progetto è risultato uno dei vincitori dei Casa Clima Awards 2013; al MUSE è stato inoltre attribuita la certificazione LEED Gold.

Quest’ultimo edificio segnala e caratterizza con la sua presenza il polo Nord dell’area, richiamando grazie ad un profilo fortemente riconoscibile, le vette delle montagne circostanti. Costituisce, insieme al resto dell’intervento, un eccellente esempio di progettazione attenta alla sostenibilità ed all’efficienza energetica. Come le altre strutture, anch’esso è stato realizzato in materiali scelti in base a criteri di rinnovabilità e reperibilità locale, cioè legno (strutture), pietra verdello e bambù (pavimentazione delle aree espositive).

Dal punto di vista energetico è quasi esasperato il ricorso alle energie rinnovabili: celle fotovoltaiche, pannelli solari e sonde a scambio termico consentono di sfruttare l’energia solare e geotermica, mentre serbatoi per il recupero dell’acqua piovana, pannelli radianti a pavimento e lucernai domotizzati garantiscono risparmio d’acqua, riscaldamento ottimale, ventilazione e illuminazione naturali.

Elena Ottavi

Quando si parla di inquinamento dell’aria, spesso lo si tende ad associare soltanto alle sostanze nocive che produciamo ed emettiamo nell’atmosfera, o allo smog che opprime le nostre città. In realtà esiste una forma di inquinamento, poco conosciuta e a volte sottovalutata, i cui rischi possono essere ben più gravi: si tratta dell’inquinamento indoor, che riguarda gli ambienti confinati in cui svolgiamo attività di diverso tipo. Abitazioni, scuole, uffici, edifici pubblici, mezzi di trasporto (sono esclusi gli ambienti industriali) sono luoghi in cui trascorriamo gran parte delle nostre giornate (circa l’80-90% secondo le stime) ed in cui, come hanno dimostrato diverse ricerche e pubblicazioni, l’esposizione ad inquinanti di varia natura può essere addirittura superiore rispetto a quella presente all’esterno. Un’ulteriore aggravante è rappresentata dal fatto che le categorie più colpite sono quelle più deboli, come i bambini, gli anziani e i soggetti che presentano patologie che li rendono più suscettibili agli effetti nocivi di alcune sostanze.

I dati raccolti dall’O.M.S. classificano l’inquinamento indoor addirittura come la principale causa di decesso legata all’ambiente e stimano che nel 2010 esso abbia determinato un numero di morti compreso fra 3,5 e 4 milioni. Inoltre circa la metà dei decessi di bambini di età inferiore ai 5 anni sarebbe riconducibile ad infezioni respiratorie acute collegate all’inalazione di aria domestica inquinata (dati OMS 2014).

Le principali patologie a cui l’esposizione ad inquinamento indoor può portare, sono quelle riguardanti gli apparati cardio-circolatorio e respiratorio, a partire da disturbi leggeri come tosse, irritazioni e forme allergiche per arrivare a problemi più gravi, come bronchiti, polmoniti, asma, cardiopatie, cancro. Da qualche anno si è iniziato a parlare anche di Sick Building Syndrome (S.B.S.), tradotto in italiano come sindrome da edificio malato, con cui si indicano i sintomi, manifestati da una o più persone, riconducibili al tempo trascorso all’interno di un edificio ma non identificabili come malattie specifiche.

Ma quali sono le sostanze nocive che sono alla base di questi problemi? E come possiamo difenderci?

Sono diverse e di varia natura: polveri, batteri, spore, muffe, composti organici volatili, gas, ecc. Alcune derivano da nostri comportamenti o cattive abitudini e spesso i loro effetti sono aggravati dalle esigenze di isolamento termo-acustico degli edifici: la mancante o insufficiente ventilazione degli ambienti interni costituisce infatti ostacolo alla possibilità di dispersione all’esterno degli eventuali agenti pericolosi.

Tra le fonti più comuni di inquinamento indoor troviamo il fumo di tabacco, i processi di combustione, la presenza di animali domestici, l’uso di molti prodotti per la pulizia e la manutenzione della casa, gli antiparassitari, l’impiego di colle, adesivi e solventi, l’utilizzo di strumenti come stampanti e fotocopiatrici.

Un capitolo importante è quello relativo alle emissioni prodotte dai materiali impiegati nella costruzione degli edifici. Da questo punto di vista, il più (tristemente) famoso è il rischio amianto, ampiamente sfruttato in ambito edilizio negli anni Sessanta e Settanta per le sue notevoli prestazioni come isolante termo – acustico e per la resistenza al fuoco. Per questo capita spesso anche oggi, nel corso di interventi di ristrutturazione, di imbattersi in questo materiale (coperture, serbatoi, canne fumarie, ecc.), la cui pericolosità consiste nello sfaldamento delle fibre che si disperdono, penetrano nel sistema respiratorio e provocano gravi patologie. Oggi, nonostante siano stati vietati l’uso, l’estrazione e la trasformazione dell’amianto, non siamo comunque del tutto lontani dai fattori di rischio. Da un lato occorre prestare attenzione al pericolo legato all’utilizzo di malte che impiegano cemento (falsamente sostenibile) proveniente da materiali di riciclo: potrebbero infatti contenere residui di amianto o altri metalli pesanti. Dall’altro il mercato dei materiali da costruzione abbonda di composti sintetici, come polistirolo e polistirene, impiegati nell’isolamento degli edifici, i quali, oltre ad ostacolare la necessaria traspirazione delle pareti, emettono nell’ambiente interno sostanze volatili pericolose e residui di elementi chimici assorbiti durante i processi di trasformazione. In questi casi un accorgimento non risolutivo ma comunque utile, è quello di assicurare la ventilazione durante e dopo la posa in opera di questi materiali.

Tra i fattori di rischio più diffusi legati ai materiali da costruzione più direttamente a contatto con chi abita o vive l’ambiente indoor vi sono anche quelli derivanti dall’utilizzo di colle e vernici ed elementi in PVC. Anche questi materiali sono di origine chimico-sintetica e, nel corso del loro ciclo di vita, emettono nell’aria sostante nocive per la salute dell’uomo denominate composti organici volatili (C.O.V.), tra cui ci sono, ad esempio, benzene e formaldeide La presenza di quest’ultima, in particolare, all’interno delle abitazioni, è dovuta ad una moltitudine di cause: la si trova in vernici e pitture, negli oggetti d’arredamento, in colle e resine, nei rivestimenti, nei processi di combustione. Anche in questo caso si consiglia di ventilare abbondantemente i locali dopo che vi sono stati introdotti prodotti (ad esempio mobili) a rischio e, comunque, di cercare di preferire, al momento dell’acquisto, quelli naturali o che garantiscono e certificano un basso contenuto di composti organici volatili.

La qualità dei materiali impiegati nella costruzione delle abitazioni consente di prevenire anche l’insorgere di problemi come condense, muffe e formazioni di umidità ed il conseguente proliferare di funghi e batteri: infatti se da un lato vi sono materiali plastici o di origine sintetica, non traspiranti, che favoriscono la comparsa di questi fenomeni, dall’altro vi sono anche quelli capaci di contribuire al comfort abitativo e di filtrare e depurare l’aria interna dell’abitazione. Fra questi troviamo il legno, che, per sua natura risulta anallergico, traspirante ed in grado di schermare anche altri fenomeni nocivi quali i campi elettromagnetici.

Infine vi sono i rischi legati agli aspetti impiantistici delle abitazioni, in particolare ai sistemi di ventilazione, climatizzazione e deumidificazione: la loro eventuale cattiva manutenzione o errata collocazione (ad esempio se ci sono prese d’aria su strade molto trafficate) può favorire l’ingresso in casa di sostanze e polveri nocive dall’esterno ed il proliferare, all’interno di filtri non adeguatamente puliti, di acari, muffe, batteri ed altri contaminanti biologici che potrebbero causare asma e reazioni allergiche.

Questi sono solo alcuni dei fattori in gioco nell’ambito del rischio espositivo all’inquinamento indoor, del quale risulta tuttavia difficoltoso costruire una stima quantitativa univoca e definire un quadro omogeneo. Oltre alla presenza o meno degli agenti inquinanti, risultano infatti determinanti anche altri elementi legati ai singoli contesti, alla tipologia di individui (età, suscettibilità alle malattie, presenza di altre patologie croniche, ecc.), ai tempi di esposizione. Come buona prassi, rimane comunque consigliabile accertarsi bene, in fase di progettazione ed acquisto, della qualità e della tipologia dei materiali da impiegare all’interno delle abitazioni e, durante e dopo la loro posa in opera, garantire la ventilazione e il ricambio d’aria negli ambienti indoor.

Elena Ottavi