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Come ti costruisco il futuro: ecco le università green del futuro

“L’istruzione è l’arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo”, ripeteva spesso Nelson Mandela. E mai come in questo periodo storico – all’alba di un nuovo anno, intarsiato in una stagione esasperata dall’intolleranza e dalla violenza – le università e i poli di alta formazione possono rappresentare gli hub strategici per costruire nuovi ponti di pace e di conoscenza. Questi infatti sono capaci di saldare i paradigmi della conversione ecologica e dell’innovazione tecnologica nella dimensione pragmatica di saperi sempre più interdisciplinari e multiscalari.

In molte città asiatiche, come Singapore, o nordamericane, come Vancouver, già da anni, tutte le istituzioni pubbliche o che erogano servizi di pubblica utilità, nella volontà di contribuire al rallentamento dei cambiamenti climatici o alla riduzione delle immissioni in atmosfera di CO2, hanno elaborato e stanno redigendo masterplan fortemente orientati alla sostenibilità socio-ambientale. Qui i campus universitari o le accademie di alta specializzazione e ricerca possono assumere una vocazione anche attrattiva nei confronti delle più giovani generazioni di scienziati e studiosi di tutto il mondo.

Al centro di questa rivoluzione copernicana, non solo nelle città evocate ma anche in quelle che verranno di seguito richiamate per la virtuosità delle esperienze condotte, vi è il legno. Ritenuto da molti operatori della filiera, italiana ed internazionale, “il materiale del XXI secolo”, per la sua versatilità funzionale e la varietà delle sue proprietà, nella tecnologia in X-lam (ossia pannelli di legno lamellare a strati incrociati) offre le migliori performance in campo energetico ed antisismico, ma anche estetico e pratico.

Canada. A Vancouver, nel campus della British Columbia, da alcuni mesi sorge uno degli edifici in legno più alti del mondo. Lo studio Acton Ostry Architects, infatti, avendo ricevuto dalla committenza la richiesta di realizzare la nuova residenza universitaria di Brock Commons per ospitare 400 studenti, ha realizzato una torre di 18 piani per un’altezza complessiva di quasi 55 metri. Ad esclusione della base in cemento e dei due nuclei verticali in calcestruzzo, lo scheletro dell’involucro edilizio, come la facciata (costituita da 22 pannelli), è stato realizzato in legno di abete con tavole a strati incrociati. Il nuovo edificio, verificato a regime il comfort termoigrometrico e lo stato di benessere indoor, dovrebbe conseguire, secondo i progettisti, la classe Gold della certificazione Leed.

Singapore. Nella città-stato asiatica, una delle più giovani e creative smart city del mondo, dalla seconda metà del 2015 è precipitato l’ultimo innovativo progetto di DP Architects e UNStudio. La loro Università, fondata in collaborazione con il MIT, si sviluppa secondo geometrie armoniose e fluide, perché dinamico deve essere il processo di apprendimento dei discenti. Le Facoltà, infatti, non si trovano rigidamente all’interno di singoli edifici, ma sono distribuite e sovrapposte nei diversi volumi, con aule, laboratori e sale riunioni collegate attraverso percorsi studiati attentamente per stimolare la contaminazione tra saperi e l’innovazione. I nuovi edifici, sintesi di una progettazione integrata, sono energeticamente “passivi” ed ecologicamente “attivi”: sono stati studiati, quindi, nel loro orientamento, nel consumo energetico ed idrico, nell’ombreggiatura con l’uso di specie autoctone per evitare le isole di calore prevedendo anche tetti verdi.

Sudamerica. A Cayenne, nella capitale del piccolo stato della Guiana francese, gli architetti francesi dello studio RH+Architecture hanno completato nel 2013 il loro reticolato in legno con cui avvolgono interamente l’edificio della biblioteca universitaria del campus del Rectorat de Guyane. L’originale “eco-gabbia” rimodella l’involucro creando una ariosa e luminosa hall di ingresso, una vera galleria polifunzionale a fruizione di studenti e docenti, che consente alla luce naturale di filtrare e di riverberarsi sulla facciata interna della biblioteca in cemento armato, disseminata di finestre rettangolari e quadrate. Il nuovo spazio aperto, che percorre tutto il perimetro della struttura, favorisce una interazione con quello esterno per un dialogo costante tra architettura, cultura e natura.

Italia. Analoga correlazione è stata ricercata, ed ottenuta, a Lodi dall’archistar giapponese Kengo Kuma, autore della recentissima Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano. Il nuovo sistema accademico, che ospiterà almeno 2200 studenti, prevede due volumi, di altezze e funzioni diverse, proiettati sul canale naturale che attraversa il sito. Nel primo edificio sono destinati aule e laboratori per la didattica con un’aula magna da 350 posti; mentre nel secondo troveranno ospitalità i dipartimenti e i centri di ricerca. «Il mio lavoro – ha detto Kuma – punta a creare un’unione tra architettura e natura, valorizzando l’acqua e impiegando diffusamente il legno (che quando possibile preferisco reperire a chilometro zero), ma in piccoli tagli, quasi a misura umana. Il suo uso in architettura è come nella musica: prima della melodia è importante lavorare sul ritmo, che nelle progettazioni è dato appunto dal legno in piccoli tagli. Nel nuovo polo universitario – ha proseguito l’architetto giapponese – ho usato il legno di cedro rosso canadese di tre spessori diversi per assicurare questo ritmo e per garantire, data la destinazione d’uso e attraverso grandi vetrate che consentiranno alla natura di entrare nell’edificio, l’illuminazione e la ventilazione naturale».